È inutile nasconderlo ancora: l’Italia è prossima alla bancarotta finanziaria.
Nonostante il mantra “Insieme ce la faremo”, ripetuto alla nausea, e i continui appelli all’unità istituzionale o popolare, la situazione reale dell’economia nazionale è al tracollo e questo va a peggiorare ulteriormente il dato di finanza pubblica, che naviga in pessime acque già da anni.
La notizia di questi giorni è il crollo dei consumi a ottobre: -8,1% annuale, peggiorato rispetto al -5,1% di settembre, quando comunque c’era stata una ripresa rispetto al secondo trimestre, quello del “lockdown”. Il dato riguarda in particolare il settore dei servizi, ridotti per il 27,7%, in particolare nel turismo, nei servizi del tempo libero e nei trasporti, a fronte della vendita di beni sostanzialmente stabile. La filiera del turismo ha perso ben il 73%! Colpiti senza pietà i servizi ricreativi, gli alberghi, i bar e i ristoranti [Confcommercio]. Ma tutto ciò era già prevedibile, così come l’andamento negativo del Pil e del Debito Pubblico.
Si stima, infatti, una riduzione del Pil a novembre del 7,7% mensile e del 12,1% annuo. Tenendo conto che questo è il mese dei nuovi blocchi causa emergenza sanitaria e delle “regioni colorate”, è stimabile a fine anno una netta perdita di produzione a due cifre, dato che anche il Natale è già stato messo in discussione sia dal Ministro alla Salute sia dalle autorità sanitarie nazionali (anche se qualcuno di loro continua a ridere quando si presenta in tv…).
Ovviamente, i diretti interessati chiedono indennizzi e moratorie fiscali e creditizie, cui il Governo finora ha risposto con “ristori” e deroghe delle scadenza fiscali, producendo così un aggravio alle casse dello Stato al momento non definibile. Ma facilmente si intuisce che la misura supererà i 100miliardi di ulteriore debito rispetto al 2019, cui si dovranno aggiungere gli ulteriori finanziamenti europei cui il Governo sta lavorando alacremente sin da quando si è insediato, godendo anche del supporto di parte delle opposizioni.
Questo significherebbe portare il Debito Pubblico italiano all’inizio del 2021 a cifre iperboliche, con aumento certo del rapporto sul Pil che, dato
il contemporaneo crollo del dividendo, raggiungerebbe il 160% e forse oltre. Come sono lontani i tempi in cui l’ex-Commissario UE all’economia faceva la guerra al governo italiano per pochi decimi di Pil… Sarà per questo che l’attuale commissario (un italiano) ha già chiesto di congelare quel parametro per i prossimi due anni, mentre il Presidente del Parlamento Europeo (altro italiano) ha chiesto alla Bce la cancellazione dei debiti degli stati membri contratti negli ultimi tempi.
Si aggiunga a tutto questo la perdurante situazione di stallo politico, col Governo che continua a tenere il paese nell’incertezza e ha già annunciato che non emanerà nuove decisioni o normative fino al 3 dicembre, data di scadenza dell’attuale “lockdown a colori” che ha colpito ormai tutte le regioni italiane. Le quali ora chiedono all’esecutivo e ai responsabili della sanità nazionale maggiore condivisione dei dati e criteri sui quali si basano per stabilire i blocchi, in modo da poter a loro volta assumere le proprie decisioni di livello locale, sia nel delicato settore della sanità – che oggi è una delle competenze maggiori degli enti locali – sia anche riguardo ai trasporti e al commercio, senza dimenticare la loro responsabilità originaria in materia di protezione civile, unitamente ai Comuni e agli altri enti territoriali e locali riconosciuti dalla Costituzione.
Banca d’Italia, da par sua, ha elaborato diversi rapporti sullo stato congiunturale dell’economia delle singole regioni, esponendo dati per nulla positivi né rassicuranti: la Liguria ha subito un forte calo del fatturato nel terziario, i flussi turistici estivi sono calati di un 1/3 e così anche il commercio al dettaglio, col conseguente calo del movimento merci presso i porti e in generale dell’occupazione; in Emilia-Romagna, si è registrata una forte contrazione dell’indicatore economico nel primo trimestre, in tutti i settori, soprattutto in quelli specializzati regionali, e ovviamente nel turismo e nei servizi alla persona, con conseguente perdita di molti posti di lavoro a termine o stagionali.
La Calabria ha subito pesanti perdite dovute al Covid19, riducendo di parecchio la domanda di servizi e beni a causa della diminuzione di fiducia nei consumatori, i quali hanno preferito destinare i redditi al risparmio, cosicché la ripresa estiva è stata insufficiente a recuperare il dato ex-ante e il ritorno dell’epidemia ha ulteriormente provocato ricadute; l’Umbria ha subito una contrazione economica significativa nell’emergenza, con un parziale recupero di Pil nel terzo trimestre, segnando però una perdita di Pil regionale di oltre il 10%, dovuto alla generale contrazione degli affari in tutti i settori salvo quello alimentare; una flessione simile a quella della Toscana (che BankItalia dice essere in linea con quella nazionale), segnata da una buona ripresa nel terzo trimestre ma condizionata da come evolverà a fine anno la situazione, considerando che moda e industria territoriale hanno già perso parecchio anche a causa delle limitazioni al traffico merci e agli spostamenti dei lavoratori, per non parlare delle esportazioni.
Nel Lazio l’attività economica nella prima parte dell’anno è calata del 10,3% (poco sotto la media italiana dell’11,8%), colpendo un po’ tutti i settori ma in particolare il turismo e il commercio di dettaglio, per via del calo delle presenze straniere e delle esportazioni; anche la Sicilia non va meglio, ove il calo dei ricavi è drastico in tutti i settori, sebbene una certa ripresa estiva che ha interessato 1/5 degli operatori che comunque non è stata utile a recuperare del tutto il gap, provocando pessimismo sulle aspettative a breve periodo; al momento non ci sono dati sulle principali regioni del Nord, motore dell’economia del paese.
In merito al debito statale, l’istituto bancario di Via Nazionale dichiara che nel 2019 il rapporto sul Pil era al 134,7%, lo 0,3% in più rispetto all’anno precedente (che fu motivo di contesa infinita fra governo Conte-1 e la CommissioneUE): di questo, il 16,8 era detenuto a fine anno dalla stessa banca centrale, quota che a settembre è salita al 20,5%, mentre il 26,9 è detenuto da altre istituzioni monetarie (Bce, etc.) e un altro 29,2 è da altri soggetti non residenti. In forte crescita è anche il fabbisogno lordo delle P.A., che nel 2020 è tornato in segno positivo da febbraio in avanti, toccando quote di 31miliardi a marzo, 17miliardi ad aprile, 25miliardi a maggio, 20miliardi a giugno e altri 21miliardi a settembre, portando così la consistenza di titoli e prestiti della Repubblica a 2155miliardi a settembre, con un balzo di quasi 175 miliardi sul 2019. Infine, nella sua consueta nota trimestrale, Banca d’Italia ha annunciato il nuovo record del debito patrio, toccato a settembre a quota 2583miliardi, appena 4 in più rispetto ad agosto ma ben 141 in più nell’anno!
Tutto ciò appare impietoso se confrontato con i dati UE, dove nel terzo trimestre il Pil è cresciuto del’11,6% rispetto a quello precedente [Eurostat], l’aumento più forte misurato dall’inizio delle serie storiche degli ultimi 25anni. Un recupero quasi totale della perdita registrata nel secondo semestre 2020 (che risultò ancora più marcata per l’intera area Euro al -11,8%), quando il Pil fra luglio e settembre è calato del 4,4% rispetto allo stesso periodo nel 2019.
Ricordiamo anche le ultime dichiarazioni della Presidente della Bce sulla indisponibilità a finanziare ogni forma di debito sovrano degli stati, che non sia quella già inclusa nei programmi messi a punto dalla Commissione, ossia Recovery Fund e SURE: quest’ultimo prevede un plafond di 187miliardi, di cui 27,4 destinati all’Italia per coprire gli esborsi dovuti alla cassa integrazione e alla gestione della nuova disoccupazione, che però sono nuovi prestiti.
Qualcosa di simile ai fondi previsti dal Programma Recovery Fund, che stanzia per l’Italia oltre 200miliardi nel settennio a venire, di cui solo 80 sono trasferimenti a fondo perduto e il resto in forma di prestito agevolato dalla Commissione (e qui siamo al paradosso di un’organizzazione internazionale che presta soldi a chi la finanzia con contributi netti). Ma detto questo, se il Governo dovesse autorizzare anche la sottoscrizione del MES, emesso da altro soggetto straniero (anch’esso finanziato dagli stati membri per fornire loro prestiti…), allora all’inizio 2021 il nostro paese si troverebbe con un aggravio di debito ulteriore di quasi 200miliardi verso soggetti stranieri, alzando così il rapporto rispetto al debito detenuto da soggetti italiani ad oltre il 60%.
Una situazione da cui non si potrà uscire con la consueta politica della formichina che produce, accumula avanzo primario per decine di miliardi (ormai è così da oltre vent’anni) sufficienti a malapena a ripagare gli interessi sul debito, cui si aggiungono quote annuali dello stesso da restituire (secondo il “Fiscal Compact”, sarebbe del 5% dell’ammontare ogni anno per vent’anni). Con un’economia disastrata come quella italiana di questi tempi, senza possibilità di fare investimenti pubblici (anche se la quota a debito del Recovery Fund in teoria servirebbe a quello, ma sarebbe “controllata” da Bruxelles), con un processo di “cambiamento” economico e sociale imposto al paese da questo esecutivo che non sembra funzionare, la situazione è assai critica. Probabilmente sarà necessaria un’agenda economica privata, sostenuta dalla finanza a buoni tassi ora disponibile sui mercati, cui però servirebbe un coordinamento di altissimo profilo. E tanta, ma tanta, fortuna.