Se l’8 settembre 1943 è stato l’evento che ha decretato <la morte della Patria>, come riconosciuto da Salvatore Satta già nel 1948 e confermato da Galli della Loggia nel 1993, questa data attuale sarà ricordata come la morte della democrazia. L’operazione batteriologica ha comprovato l’assenza totale dello spirito nazionale e del senso comunitario.
Quelli che furono i comportamenti delle istituzioni e del popolo alla dichiarazione di resa incondizionata si sono ripetuti, con le dovute contestualizzazioni di tempo e di modi, nel momento prolungato e manipolato dell’avvenimento virogeno noto con il nome di battaglia di Covid19.
Alla capitolazione completa di fronte al nemico invisibile e volutamente sovrastimato, le istituzioni hanno dimostrato l’usuale propensione allo sbracamento e alla più nauseante rovina.
Se, all’epoca, gli Stati Maggiori si sono dileguati lasciando i militari allo sbando, le strutture pubbliche si sono spontaneamente smantellate, il popolo si è disgregato nell’interesse privato e nelle vendicative delazioni, la casa regnante è fuggita in cerca della salvezza vergognosa, oggi le sovrapposizioni simboliche sono facilmente identificabili.
Un governo falsario e illegittimo ha continuato a sfornare decreti anticostituzionali e arbitrari con l’unica funzione di mantenere le proprie posizioni di potere e le prerogative di gestione della cosa pubblica indipendentemente dalle indicazioni delle altre rappresentanze parlamentari. Decreti contraddittori e informazioni manipolate hanno creato panico e disorientamento, con la precisa volontà di ammansire la popolazione attraverso l’incertezza e la paura.
Le organizzazioni istituzionali, come gli uffici pubblici, la sanità, la scuola, la giustizia, hanno dimostrato il nullo senso civico, la dubbia tenuta etica e la pressoché totale assenza di responsabilità.
Mezzemaniche e dirigenti asserragliati negli uffici con orari scadenzati da appuntamenti come se gestissero una proprietà privata, mentre altri in mutande e canottiera a sopperire con il discutibile lavoro a distanza.
Medici di famiglia che invitavano i pazienti con disonorevoli tazebai ambulatoriali a non accedere in studio se malati, ma attivare il numero dell’emergenza in caso di starnuti e febbricola.
Insegnanti felloni che si negavano alle lezioni online in quanto non collegati ad internet o incapaci di gestire il programma, supportando l’attività didattica con e-mail e certificando promozioni e diplomi con discutibile superficialità.
Magistrati scomparsi in tribunali deserti con continui rinvii di udienze e attività giudiziaria ridotta alle minime risposte di urgenze.
Un apparato istituzionale sgretolato di fronte alla distorta e artefatta guerra virale. Dirigenti e funzionari vari che hanno beatamente usufruito della quarantena nella sicurezza economica e nella diserzione lavorativa.
Un’analisi a parte dovrebbe essere dedicata agli istituti bancari, tra orari e giornate ridotte, addetti dislocati ai domiciliari, ma il mantenimento inossidabile dei costi di commissione e di gestione dei fondi.
In tutti questi settori ci sono stati esempi di coraggio, onesta e senso del dovere. Elementi non contaminati dal terrorismo batteriologico che hanno affiancato i dissidenti della sedizione di stato: dai giovani del mojito di gruppo alle commesse dei supermercati, dai militari dedicati al controllo dei clandestini a quei commercianti che, paura o non paura, hanno regolarmente alzato le saracinesche per conquistarsi il pane quotidiano e fare fronte alle spese inderogabili della propria attività.
L’8 settembre 2020 ha diviso nuovamente l’Italia come quello del ’43: i traditori e i meschini che hanno pensato alla propria pancia, magari ingrassandosi sulle disgrazie, e coloro che hanno mantenuto saldo il concetto di comunità e di Nazione. Anche di questo si dovrà tenere memoria.