Per San Giuseppe regalavo sempre a mio padre una bottiglia di Porto. Una di quelle buone. O meglio, di Porto autentico, invecchiato. Non quella roba industriale che si trova nei supermercati e che è solo alcool, coloranti, aromi chimici.
Il vero Porto è altra cosa. Tutta un’altra cosa. È una miscela sapiente, alchemica. Uve del Douro, di diversi vigneti. Distillate, invecchiate in botti di rovere, grandi prima. Poi, dopo altri processi, più piccole. Su tutti mio padre preferiva il Tawny. Soprattutto quelli Vintage. E sinceramente devo continuare a dargli ragione..
Non era un gran bevitore, mio padre. Sempre moderato. A pasto un bicchiere di vino. Rosso. O meglio, mezzo bicchiere. Perché, spesso, lo tagliava con l’acqua, come molti usavano un tempo. Il vino, che si beveva quotidianamente mangiando, era piuttosto grezzo. Duro. Non di gran prezzo o finezza. Costava poco. Ma era schietto.
Certo, se era una bottiglia di quelle buone, che si stappavano a Natale e in altre occasioni, il bicchiere l’acqua non la vedeva neppure col cannocchiale.
Quando si andava in montagna, gli piaceva la birra. Soprattutto quando ci si fermava a Dogana Vecchia, tra Cortina d’Ampezzo e San Vito di Cadore. Antico confine, ché l’Ampezzo è restato sotto l’Aquila d’Austria sino al 1918. Sino al crollo dell’Impero Asburgico.
Le sbarre di confine non c’erano più. Al loro posto una locanda con qualche camera. E un bar. O meglio una taverna. Dove potevi mangiare qualcosa. In genere pane nero, salame e cetriolini sott’aceto. E, soprattutto, una birra tedesca alla spina. Fresca, dissetante… Ottima. Anche perché lì ci si fermava al ritorno da qualche scarpinata.
Andavamo a rifugi. Il Nuvolau, il Locatelli… E, soprattutto, a fare lunghi giri in quota. Nelle Dolomiti. I Cadini sopra al Lago di Misurina. Con quel passaggio su una cengia stretta, tenendoti al ferro sulla parete rocciosa. Ancora in Luglio vi si trovava la neve. La Val Travenanzes, dietro le Tofane. Selvaggia, disabitata. Solo le tracce del passaggio di qualche mulo. Il giro della Croda da Lago. Mondeval, dove sentivi risuonare il fischio con cui le marmotte segnalavano la nostra presenza…
Si tornava stanchi. E assetati. La sosta a Dogana Vecchia e la birra era un rito che ci rinfrancava. Una sorta di approdo in un porto sicuro.
Per altro, mio padre non beveva super alcolici. Il Porto, ogni tanto, come dicevo. Appena un bicchierino. E, ancor più di rado, quando l’inverno mordeva e la cena era stata più abbondante del solito, due dita appena di Whisky. Scozzese, di puro malto. Liscio.
Ricordo che una volta, per Natale credo, gli regalai una bottiglia di torbato. Lo assaggiò. E scosse la testa.
“Troppo duro per me” disse. Preferiva gusti più morbidi. Puliti. Nitidi. Il torbido affumicato del torbato è sempre stato più consonante col mio carattere che col suo…
Mio padre non amava bere da solo. Era, come me, un…bevitore sociale. Come lo sono diventato, negli anni, anche io. Bere in compagnia è una cosa. In solitudine… beh, è cosa abbastanza triste…
Già…con gli anni… anche in questo gli assomiglio sempre di più. E non solo in questo.
Quando la mattina mi rifilo la barba talvolta resto sorpreso. Lo specchio mi rimanda l’immagine di mio padre, quando aveva gli stessi anni che ho io oggi. Certo…lui aveva dei, tersi, occhi azzurri. I miei sono scuri. Cupi. E la sua pelle era più distesa. Ma per il resto…
Guardo mio figlio.
Qualcuno, nonostante tutto, mi ha detto che mi assomiglia…
Chissà se un giorno, facendosi la barba, gli tornerò in mente…
Vabbè… pensieri così… sparsi… confusi.
Meglio bere qualcosa. Un bicchierino di Porto, preferibilmente.