Aumentano i controlli sulle assenze dei dipendenti pubblici e, nessuno lo avrebbe immaginato, crollano i giorni di malattia. Calano anche nel settore privato ma in quello pubblico la flessione è cinque volte superiore.
Questo è il Paese dei furbetti del cartellino, dunque i dati forniti dall’Inps non stupiscono. Eterni bambini, gli italiani hanno bisogno dello Stato-mamma che fornisca un lavoro sicuro, che finga di non accorgersi delle marachelle e che, ogni tanto, arrivi con il termometro quando il pupo fa i capricci per non andare a scuola.
Il lavoro noioso e ripetitivo favorisce l’assenteismo
È vero però che si è fatto di tutto per giustificare simili comportamenti. Lavori noiosi e ripetitivi, spesso del tutto inutili, sempre privi di ogni rapporto con la meritocrazia. Si premia il servilismo e l’ossequio, non la capacità, la competenza e l’impegno. D’altronde il posto fisso nel settore pubblico, Checco Zalone insegna, è una garanzia legata a volte al clientelismo e non alle necessità. Impiego pubblico come ammortizzatore sociale laddove lavoro vero non esiste.
E siccome per creare un lavoro vero servirebbero idee, si preferisce puntare su assunzioni inutili per attività non solo inutili ma anche dannose. Si inventano nuove procedure burocratiche, che danneggiano la vita di tutti, per giustificare la folla di dipendenti. In questa situazione è comprensibile la completa disaffezione degli impiegati pubblici.
I danni della burocrazia a chi lavora davvero
Peccato che questo significhi carichi di lavoro eccessivi per chi si impegna davvero.
E sono molti di più di quanto si pensi comunemente. Anche loro alle prese con le assurdità di una burocrazia seicentesca nota ormai in tutto il mondo e immortalata persino in una storia di Asterix. Si perde tempo prezioso per seguire procedure del tutto inutili e ridondanti, per attendere i tempi imposti da regolamenti assurdi. Spesso scritti da incompetenti che si nascondono dietro incarichi prestigiosi. Succede in ogni ambito pubblico
Quando sulle auto italiane cominciarono a comparire i fari antinebbia, esterni al corpo della vettura, un genio decise che era obbligatorio coprire i fari con apposite custodie, da togliere esclusivamente in presenza di nebbia. Dunque la norma prevedeva che l’automobilista entrasse nel banco di nebbia, fermasse la vettura, scendesse, togliesse i cappucci dei fari, risalisse in auto e, solo a quel punto, accendesse i fendinebbia. Guai a far notare che scendere da un veicolo mentre è nascosto dalla nebbia non è proprio il massimo della sicurezza e dell’intelligenza.
È la burocrazia, bellezza. Forse al posto dei concorsi per dirigenti sarebbe più utile obbligare i funzionari pubblici alla visione di un vecchio film in bianco e nero, Monsu Travet. Ci sarebbe anche un libro, ma non si può pretendere troppo.