Ho frequentato per anni un gruppo lacaniano e posso dirvi, con cognizione di causa, che le correnti interne di decodificazione del pensiero di Freud non si sopportano.
Detto ciò, continuo per motivi di lavoro a frequentare a distanza Massimo Recalcati, seguendolo in interviste e lezioni, e non disdegnando un paio di centrate imitazioni di Crozza.
Al netto dell’esasperante ripetitività di esempi, metafore e concetti che ossessivamente dilatano il tempo delle sue presentazioni, e la stereotipata gestualità che – lancio un’ipotesi prognostica – se bloccata meccanicamente ridurrebbe di gran lunga la sua prolissità, resta un eccellente intrattenitore e un chiaro saggista.
Il problema suo e di molti psicoanalisti è la presunzione interpretativa, la spocchia argomentativa di infilare ogni valutazione – dalla politica alla religione, dall’arte figurativa alla musica, dalla patologia ai comportamenti della vita quotidiana – entro la griglia del pensiero analitico di Lacan.
In più, appartenendo Recalcati al salotto buono della sinistra aperturista, accogliente e progressista, cade spesso nella retorica del pensiero omologato dell’antifascismo, e dell’antileghismo che mi interessa meno, scomunicando ogni altro giudizio non conforme alla sua verità.

Tanto per fare un esempio, cita con una certa soddisfatta enfasi una ricerca della Fondazione Agnelli che ha stabilito come le classi disomogenee per etnie sono più vive e mentalmente produttive, mentre quelle omogenee sono scadenti e poco dinamiche culturalmente. La realtà è un’altra, ma non voglio infierire, perché mi interessa evidenziare una sua cantonata, significativa per contorsione analitica e malafede intellettuale.
In una sua conferenza dal titolo “Lo straniero interiore che preme alle frontiere”, arriva al punto di interpretare il significato biblico della Torre di Babele. E qui tracolla il buon senso, la cultura e direi anche l’onestà dell’illustre pensatore.
Quando in un tempo mitico gli uomini con una sola lingua parlata decisero di costruire una torre che salisse al cielo in nome di un popolo unico e di un’unica stirpe, Dio distrusse l’opera e li sparpagliò, creando quindi diversi popoli e diverse lingue.
Come interpreta il leggendario Recalcati questa metafora? Udite, udite! Che il riconoscimento della molteplicità è fondamento della democrazia, mentre la Torre di Babele sarebbe il simbolo del fascismo, del leghismo e del razzismo, che puntano sul riconoscimento del sangue e dell’identità.
Ora, tanto per far rabbrividire il seduttivo e incantatore Recalcati, dirò che io sono fermamente razzista, perché amo le differenti razze, le variegate culture, le multiformi tradizioni, le inconsuete abitudini: in un concetto esaustivo, amo la diversità.
La Torre di Babele appartiene a lui e alla sua congrega di pensatori unici; appartiene al suo mondo omologato, dove il miscuglio è la riduzione totalitaria al solo pensiero dominante; appartiene alla sua realtà di sradicati e di nomadi, senza cultura, né tradizioni, né storia; appartiene alla monolingua del network english, del commercio, delle merci e della finanza globalizzata; appartiene alla melassa mondialista di cui è fedele interprete e compensato cantore.
La Torre di Babele è il simbolo del Nuovo Ordine Mondiale.