La nostra casa è in fiamme
– così ha annunciato Greta Thunberg durante il 49 esimo World Economic Forum, che si è concluso a Davos il 25 gennaio scorso.
È con questa metafora che Greta Thunberg, attivista svedese di 15 anni e affetta da sindrome di Asperger, invita i leader di tutto il mondo a non perdere altro tempo per occuparsi con urgenza della salvezza nel nostro pianeta, incitandoli a preoccuparsi anche del futuro e non solo ai loro interessi:
Nel 2078 festeggerò il mio settantacinquesimo compleanno. Se avrò dei bambini probabilmente un giorno mi faranno domande su di voi. Forse mi chiederanno come mai non avete fatto niente quando era ancora il tempo di agire. Voi dite di amare i vostri figli sopra ogni cosa, ma state rubando loro il futuro davanti agli occhi.
Trovare soluzioni per sfamare 10 miliardi di persone nel 2050, tutte con il medesimo diritto al cibo, senza distruggere il nostro pianeta è questa una delle più grandi opportunità della nostra generazione ma con il sistema di consumo attuale il nostro pianeta è a rischio di collassare. Il settore agro-alimentare è attualmente uno dei più arretrati in termini di tecnologia, regolamentazione e innovazione del modello di business, e di rado di interesse prioritario dei nostri politici. Eppure il suo impatto sulla salute della gente e del pianeta è incommensurabile. La fame è in crescita parimenti a disturbi alimentari come il sovrappeso e l’obesità.
I cambiamenti climatici provocati dall’attuale sfruttamento incontrollato sono altrettanto estremi: il settore agro-alimentare conta per circa il 30% di emissioni di gas serra e il 70% di prelievo idrico. Questo non è sostenibile già ora e per di più abbiamo bisogno di aumentare significativamente la produzione di cibo entro il 2050, nonostante continuiamo a sprecare enormi quantità di cibo ogni giorno.
L’Istituto delle Risorse Mondiali insieme alla Banca Mondiale, UN Ambiente, UN Programma di Sviluppo e le agenzie agro-culturali francesi CIRAD e INRA suonano l’allarme, se i livelli di efficienza della produzione odierni rimangono tali fino al 2050, allora sfamare il pianeta comporterebbe la crescita esponenziale di allevamenti intensivi, che causano gran parte della deforestazione e dell’emissione di gas serra, provocandone lo sforamento dei limiti del 1.5°C e 2°C della Convenzione di Parigi del 2015; ciò senza calcolare tutte le altre attività umane.
Fortunatamente, stiamo cominciando a vedere soluzioni plausibili e scientificamente provate per rendere il sistema alimentare più accessibile, sostenibile ed efficiente, e per evitare gli 11 milioni di morti per malnutrizione all’anno, migliorando la salute di tutti, salvaguardando le foreste e la biodiversità. La Commissione EAT-Lancet ha pubblicato le regole per una dieta sana e una produzione sostenibile, riducendo il consumo di carne a vantaggio di frutta, verdura legumi e cereali.
Fondamentale sarà l’investimento nelle tecnologie e nella ricerca di alimenti vegetali proteici.
C’è ancora chi ritiene che il “mangiare sano e consapevole” sia una questione ecologica prettamente etica, “di lusso”, di chi può permettersela ma che non riguarda chi ha i problemi ad arrivare a fine mese: “Scherzi? Con quanto costa il bio! Ho ben altri problemi a cui pensare”.
Quest’idea comune, sebbene assolutamente comprensibile, si riduce tuttavia ad una visione a breve termine, che non pensa al futuro e che non è disposta a fare un sacrificio oggi per il bene di domani.
È ormai una verità inconfutabile che, in mancanza di azioni radicali da parte di tutti, la temperatura media aumenterà oltre i 2 °C portando a eventi climatici sempre più estremi e cambiando il clima di intere aree geografiche, con conseguenze per milioni di persone (si pensi solo come aree interamente colpite da siccità o inondate dall’innalzamento delle acque per lo scioglimento dei ghiacci o dei sempre più frequenti tsunami non possa che sollevare anche la questione dell’immigrazione).
Oltre a Greta Thunberg, ci sono molte altre persone che portano il loro esempio e messaggio: tra questi, Kuntal A. Joisher, l’unico vegano al 100% ad aver scalato un ottomila, il Lhotse (8.516 m).
L’indiano è il primo alpinista al mondo ad aver scalato un ottomila utilizzando abbigliamento tecnico “animal e cruelty free”, indossando una tuta senza piume d’oca e alimentandosi con una dieta vegana.
Kuntal A. Joisher, classe 1980, è il primo alpinista indiano vegano ad aver conquistato la cima dell’Everest nel 2016. Lo scorso anno, nel maggio del 2018, Kuntal ha realizzato un altro sogno: ha raggiunto la cima del Lhotse (8.516 m), la quarta cima più alta del mondo. Le sue spedizioni sono guidate da una profonda volontà di portare il messaggio umanitario e vegano nel mondo.
Breve biografia di Kuntal Joisher:
Kunthal Joisher è sia uno scalatore esperto sia un professionista informatico di alto livello. Si è laureato presso il Vivekanand Institute of Technology di Mumbai e la USC School of Engineering di Los Angeles.
La sua passione per l’alpinismo lo ha portato a scalare su catene montuose in tutto il mondo, inclusi i Ghat Occidentali, la Northern Ice cap in Cile e l’Himalaya nepalese e indiano.
E’ anche un rispettato fotografo e i suoi scatti sono stati pubblicati da National Geografic, BBC Earth, Space.com, Himalayan Journal, the Outdoor Journal e molte altre riviste e magazine in tutto il mondo.
Joisher gira regolarmente l’India e il mondo per parlare del viaggio che ha cambiato la sua vita: scalare il monte Everest come atleta la cui dieta è basata solo su cibi di origine vegetale. Joisher continua ad allenarsi duramente sia mentalmente che fisicamente e sogna di guidare a breve una spedizione all 100% vegana in cima al mondo – sul monte Everest.
Oltre alla sua passione per le scalate, Joisher tiene particolarmente a due cause: sensibilizzare alla conoscenza della demenza (malatti, di cui soffre il padre) e diffondere il messaggio del veganesimo e del vegetarianesimo.