Mi guardo intorno. Ed è il solito paesaggio. Urbano e…antropico. All’orizzonte il profilo dei Tiburtini. Che, qui, vengono detti monti. In realtà sono poco più che colline. Origine vulcanica. In lontananza il Soratte. Antico luogo sacro. E celebrato da Orazio, che ne canta, nei Carmina, i declivi innevati. Altra epoca. Gli inverni erano ben più rigidi, e il poeta di Venosa ne combatteva i rigori con un braciere fiammeggiante. E un’anfora di Cecubo.
Davanti a casa, però, sempre lo stesso prato incolto. Dove portano a…pascolare i cani. Ora è più giallastro che altro. Stoppie bruciate dal sole estivo.
Fugace, il pensiero che è una delle ultime volte che lo vedrò. Poi, sarà tutto diverso. Distese di vigne. Il bosco. E, soprattutto, le montagne. Pallide nella luce del mattino.
Come si intitolava quel libro, trovato su una bancarella mezzo secolo fa?
Ah, sì… “La leggenda dei monti pallidi”. Di Karl Felix Wolff. E miti delle Alpi orientali. I Fanes. Re Laurino. Dolasilla, la principessa guerriera. Ricordo un vecchio amico, musicista pazzo, che sognava di trarne un film. Musicale. Un’opera…
Mi vesto ed esco. È appena sorta l’alba. Mio figlio dorme ancora. È domenica, l’ultima di agosto. E le strade di Roma sono deserte.
Roma… Sì, certo questa è la Roma di oggi. Una immensa periferia, sorta disordinata intorno al nucleo del centro storico. Una macchia, oscura, di olio esausto, che si dilata senza una qualche direzione urbanistica. Quartieri più o meno eleganti. Popolari o borghesi. Dormitori, comunque. Anonimi.
Raggiungo il solito bar. Sole /Luna. Marco, da dietro il bancone, mi saluta con voce assonnata. “Ciao prof. Il solito?” annuisco. E passo alla cassa. Per le sigarette.
“È caduto dal letto professore?” Fiorella, la cassiera, ha gli occhi miopi più stanchi del solito.
Tutto bene? Le chiedo.
Scuote il capo.
“No. È che non ce la si fa più a lavorare. Non così. Orari sempre più pesanti. Stipendi…beh, lasciamo perdere. E nessuna prospettiva…” un attimo di silenzio.
“È cominciato tutto con la Fornero. Ci ha tolto diritti e speranze. E quella maledetta piangeva, pure. Ipocrita. Poi…sono arrivati questi. Ancora peggio. Eravamo il doppio qui, una volta. E ora…ci tocca fare orari raddoppiati. Ma lo stipendio è restato lo stesso. Mentre le bollette di casa… Non ce la faccio più…” ha le lacrime agli occhi. Strano. In genere è sempre di buon umore. Ricordo che a natale si metteva le corna di renna. E cantava Jingle Bells con le due banconiste….
” Posso dirle una cosa? ” annuisco di nuovo ” Io sono arrivata ad una conclusione. Ci vorrebbe un dittatore, ecco. Ma non uno come Draghi che ha fatto solo l’interesse delle banche e ci ha mandato in miseria. Uno come… Lui. Mussolini. Che avrà fatto anche degli errori, la guerra, l’alleanza con Hitler. Ma ha fatto tante cose buone per il popolo. Per la gente che lavora. Ci ha dato diritti e tutele, diceva sempre mio nonno. Che mica era fascista…”
Bevo il caffè, e mi avvio per uscire.
“Quando parte prof? ” me chiede Marco.
Presto, rispondo. Questione di giorni, ormai.
“Ci mancherà prof.” dice Fiorella “ma fa bene ad andarsene. In questa città non è più vita…”
Al mercato, Natale il matriciano è già al suo posto. Dietro al banco di formaggi e salumi. Lavora tutti i giorni. Tranne Ferragosto, Pasqua e, appunto, Natale. Uno stakanovista. Sono un calabrese del nord, è solito dire. Mica come questi terroni di romani…
Prendo prosciutto, formaggio. Il latte.
“È di partenza dotto’. Definitiva, intendo.”
Manca poco.
“Ma ci viene a salutare?”
Certo.
“Sa, la invidio. Fa bene…”
Fuori, il sole comincia a scaldare. Ma è già un sole di settembre.
Beh, la cerimonia degli addii è cominciata…