La Cina è stata criticata da molti Paesi per il suo approccio nei confronti degli Uiguri. Si tratta di una minoranza musulmana risiedente nella regione nord-occidentale dello Xinjiang (XUAR). La questione uigura negli ultimi anni ha catturato una forte attenzione internazionale e mediatica. La Cina, infatti, avrebbe arrestato e detenuto più di un milione di uiguri in quelli che sono stati definititi “campi di rieducazione”.
Si tratta di centri di detenzione appositamente costruiti, quasi paragonabili a delle carceri. Secondo recenti indagini, nella regione sono presenti 28 campi di detenzione.
Chi sono gli uiguri?
Lo Xinjiang è la più grande regione della Cina nordoccidentale, al confine con Mongolia, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Afghanistan, Pakistan, India, la regione autonoma del Tibet e le province del Qinghai e del Gansu. Dal 1955, la regione ha acquisito lo status di regione autonoma per la presenza sul territorio della minoranza uigura. Gli uiguri sono una delle 56 minoranze etniche presenti in Cina.
Nel XUAR abitano circa 12 milioni di Uiguri. Lo status ufficiale del gruppo è quello di “minoranza regionale all’interno di uno Stato multiculturale”.

Molti uiguri lamentano discriminazioni ed emarginazione da parte delle autorità cinesi. Il sentimento anti-Han e separatista è diventato più diffuso dagli anni ’90, sfociando occasionalmente nella violenza. Nell’agosto 2018, un rapporto delle Nazioni Unite ha affermato che più di un milione di persone erano detenute in centri anti-estremismo nello Xinjiang. Ciò ha sollevato preoccupazioni sul fatto che la Cina avesse trasformato la regione in
“un massiccio campo di internamento avvolto nella segretezza”
La Cina ha negato l’entità delle detenzioni, ma ha riconosciuto che gli Uiguri “estremisti religiosi” erano soggetti a rieducazione e reinsediamento.
L’emergere del separatismo uiguro
In seguito alla disgregazione dell’URSS e all’aumento dei movimenti separatisti nello spazio post-sovietico, negli anni 90 sono iniziate le rivolte uigure contro il governo cinese. Tali movimenti hanno avuto una forte attenzione mediatica a livello internazionale.

Nel 1990, dei rivoltosi iniziarono ad utilizzare le moschee per coinvolgere quanti più fedeli possibili a ribellarsi contro la maggioranza Han. Nel 1992, furono organizzati attentati prevalentemente contro obiettivi civili, come autobus, treni e negozi, causando anche morti e feriti. La terza ondata di violenze, infine, si registrò tra il 1996 e il 1997.
L’inizio della repressione nazionale
A questi avvenimenti, l’allora presidente Jiang Zemin rispose in tre modi:
- La pubblicazione di un documento in cui si delineano le questioni che minacciano la sicurezza nazionale, tra cui il terrorismo. Inoltre sono individuate soluzioni da adottare, tra cui l’intensificazione dei controlli di sicurezza e il rafforzamento degli apparati di polizia nel XUAR, come misura preventiva.
- Il Gruppo dei Cinque (the Shanghai Five): nel 1996, Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan hanno siglato un accordo per la sicurezza e la riduzione della violenza in Asia centrale. La necessità era prevenire e limitare sia movimenti uiguri alle frontiere sia attività che avrebbero potuto minacciare la sovranità nazionale. Dopo la firma dell’accordo, i governi del Kirghizistan e del Kazakistan, sotto le pressioni di Pechino, hanno eliminato i partiti politici uiguri, chiuso i loro giornali e arrestato numerosi militanti. Ciò è avvenuto soprattutto in seguito ai disordini del 1997. Dopo gli attacchi del 11/09, l’Organizzazione si è evoluta nella Shanghai Cooperation Organization, inclusiva anche dell’Uzbekistan. Molti hanno visto nella creazione di questa organizzazione una mossa di Pechino per aumentare la propria sfera di influenza economica e geopolitica in Asia centrale, secondo il progetto che vi abbiamo raccontato in questo articolo.
- Le campagne “Strike Hard”: lo scopo di queste era combattere il crimine, il separatismo e le attività religiose illegali. Sono state caratterizzate da migliaia di arresti, molti illegali, processi sommari e sentenze arbitrarie. Almeno nove di queste campagne hanno avuto luogo nello Xinjiang, con lo scopo di contrastare culti fuorilegge, minoranze etniche “sospette” e la delinquenza in genere.
La questione uigura: come viene affrontata dal PCC
Il presidente cinese Xi Jinping, dall’inizio del suo mandato nel 2012-2013, ha affermato la lotta del Partito Comunista Cinese (PCC) contro le “tre forze malvagie”. Si tratta di separatismo, terrorismo ed estremismo. Queste minacce sono state individuate nel XUAR e direttamente collegate alla popolazione uigura. Da qui, la chiusura di moschee e luoghi di culto e l’avvio del “programma di rieducazione” per la costituzione di un Paese unificato anche dal punto di vista etnico.

Si stima che tra il 2017 e il 2020, le autorità cinesi hanno arrestato con la forza quasi 1,5 milioni di musulmani turchi, per lo più uiguri. Alcuni di questi uiguri potrebbero aver intrapreso attività religiose, culturali o accademiche considerate estremiste dal governo cinese.
Secondo alcune testimonianze, i detenuti sono costretti a subire autocritica e ad esprimere la loro devozione al PCC. Il programma di “rieducazione” contempla il lavoro in fabbrica, vivere in condizioni affollate e antigieniche con privazione di cibo, percosse e abusi sessuali.
Anche al di fuori dei campi, i musulmani uiguri non possono usufruire dei propri diritti. È loro vietato eseguire riti religiosi tradizionali, dare ai loro figli nomi musulmani, indossare copricapi e veli, digiunare durante il Ramadan e pellegrinare verso la Mecca.
L’importanza dello Xinjiang per la Nuova Via della Seta
ll lancio Nuova via della seta ha ulteriormente aggravato il livello di complessità delle questioni di sicurezza in Xinjiang. La regione è infatti attraversata da tre dei cinque corridoi economici dell’ambizioso progetto. In questo modo, il potenziale strategico del Xinjiang nell’ambito della strategia complessiva di Pechino è più che rilevante.
I tre corridoi sono:
- New Eurasian Land Bridge (NELBEC): connette le regioni costiere della Cina orientale ai mercati dell’Europa settentrionale. Passa tra lo Xinjiang e la zona economica speciale di Khorghos in Kazakistan.
- Cina-Asia Centrale-Asia Occidentale (CCAWAEC): parte dalla capitale regionale dello Xinjiang, Urumqi, e attraversa il Medio Oriente fino al porto del Pireo in Grecia.
- Cina-Pakistan Economic Corridor (CPEC): è uno dei progetti di punta di Pechino. Connette la città di Kashgar nello Xinjiang meridionale al Mar Arabico. Offre un accesso diretto alle rotte marittime per i porti di Kenya, Sri Lanka ed Europa.
Lo Xinjiang è quindi un passaggio obbligato nei progetti della Nuova via della seta. La stabilità interna di questa regione è una priorità chiave anche per la politica estera di Pechino, oltre che per quella di sicurezza. La questione uigura è dunque di primaria importanza nell’agenda politica cinese.
La questione uigura nel diritto internazionale
Sebbene l’articolo 36 della Costituzione cinese garantisca la libertà religiosa, i diritti dei musulmani uiguri non sono tutelati. In questa situazione, il diritto internazionale sembra essere l’unico sostegno alla minoranza.
la Convenzione sulla Prevenzione e la Punizione del Crimine di Genocidio, il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici (ICCPR) e il Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali (CICIR) condannano il crimine di genocidio e promuovono la salvaguardia contro la discriminazione religiosa.
L’ONU
Le Nazioni Unite hanno una posizione importante in questo conflitto. Nell’ottobre 2018, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, molti paesi hanno espresso indignazione per il trattamento riservato agli Uiguri. L’ONU ha esortato la Cina ad attuare politiche raccomandate da esperti indipendenti delle Nazioni Unite in materia di diritti umani e ad astenersi dal detenere gli Uiguri arbitrariamente

Tuttavia, l’ambasciatore cinese all’Onu, Chen Xu, ha definito le argomentazioni sugli abusi come “inaccettabili”. Ha affermato che i “campi di rieducazione” hanno portato “progressi economici, sociali e dei diritti umani nello Xinjiang”.
Gli Stati Uniti
L’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha firmato lo Uyghur Human Rights Policy Act del 2020. Il documento autorizza l’uso di sanzioni contro il Governo cinese, ritenuto complice della persecuzione degli Uiguri nel XUAR. Il governo degli Stati Uniti ha anche implementato restrizioni al commercio con lo Xinjiang e ha imposto visti e sanzioni economiche.
Oltre a condannare il programma di rieducazione del PCC, il documento richiede un monitoraggio regolare della questione uigura nella regione da parte degli organismi governativi statunitensi per l’applicazione delle sanzioni. Affronta anche le molestie del governo cinese nei confronti degli Uiguri che vivono negli Stati Uniti.
L’Unione Europea
Nel 2018, l’ex Alto rappresentante Federica Mogherini si è espressa a Strasburgo in merito alla questione uigura. Ha riaffermato l’invito dell’UE ad impegnarsi in modo costruttivo per eliminare ogni discriminazione razziale. Ha inoltre citato alcune testimonianze di cittadini dell’UE di origine uigura, sottoposti a pressioni per tornare in Cina o per fornire informazioni riguardo i loro familiari. Secondo quanto riferito, i documenti di viaggio dei loro familiari in Cina sarebbero stati confiscati o non rilasciati per impedire di lasciare il territorio cinese.
L’UE, in occasione di un dialogo con la Cina sui diritti umani nel 2018, ha affrontato la situazione uigura. Ha trattato temi riguardanti la libertà di religione e di credo e il diritto di appartenere a minoranze etniche. L’UE ha inoltre ribadito la sua richiesta di visite conoscitive nello Xinjiang, compreso l’acceso ai campi. A ciò si aggiunge la necessità di attuare le raccomandazioni degli organismi internazionali per i diritti umani.
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