“L’Italia è un esempio di un Paese con una corruzione diffusa in tutti gli strati della società, ma in cui esiste anche un equilibrio della corruzione. Tutti, in teoria, potrebbero ritenere auspicabile liberarsi della corruzione, ma sanno anche che tentare una simile impresa su iniziativa individuale non farebbe altro che peggiorare la loro posizione. Questo, tuttavia, non deve essere visto semplicemente come un problema di azione collettiva, in cui se tutti accettassero di sradicare la corruzione, tutte le persone o la maggior parte di esse ne trarrebbero beneficio. Molti non saprebbero come operare in quel nuovo sistema e potrebbero preferire un ritorno al vecchio”. Non è che si debba per forza condividere il pensiero dell’economista Branko Milanovic, esperto internazionale di diseguaglianze.
Però qualche dubbio lo insinua. In realtà l’economista serbo-americano si sofferma poco (giustamente) sulla situazione italiana nel suo libro “Capitalismo contro capitalismo”. Più interessante è l’analisi sulle prospettive cinesi. Non sempre condivisibili. Soprattutto alla luce della nuova sfida lanciata da Xi Jinping ai super ricchi cinesi. Invitati – ed è ovviamente un eufemismo – a guadagnare di meno ed a pensare di più alla prosperità comune. Si potrebbe quasi definire un clamoroso passaggio dal comunismo marxista leninista al comunitarismo. E questo, se non si limitasse ad una mera questione lessicale, dovrebbe spaventare molto non i vertici di Alibaba ma quelli dell’Anpi ed il rettore dell’Università per stranieri di Siena.
In effetti non mancano i rischi per l’economia di Pechino. La crescita rapidissima che ha portato l’ex celeste impero a diventare la prima potenza economica mondiale (o quasi) è stata accompagnata ed anche favorita dalla libertà di fare impresa e di accumulare ricchezze private. Anche eccessive, considerando il numero dei miliardari (in euro) e la quota di ricchezza complessiva detenuta.
Per il momento Xi Jinping si è limitato ad indicare la strada ed a fare “pressioni” sui miliardari locali che, in qualche caso, hanno già iniziato ad allargare i cordoni della borsa mettendo a disposizione della comunità locale alcuni miliardi del patrimonio proprio ed aziendale. Da un lato questo consentirà di accrescere il benessere generale favorendo un incremento dei consumi interni. Dall’altro rischia di ridurre gli investimenti indispensabili per mantenere l’economia cinese in una fase di crescita costante a ritmi superiori a quelli americani.
Senza dimenticare gli aspetti della corruzione. Un problema che avvicina Pechino a Roma. I funzionari cinesi hanno livelli elevati di corruzione ed ogni tanto il Partito provvede ad un po’ di pulizia con condanne a morte che, tuttavia, non sradicano il fenomeno. Il cambiamento indicato da Xi dovrebbe coinvolgere anche questa mala pianta, ma con il rischio di creare tensioni all’interno del Partito stesso. La trasparenza e l’onestà sono grandi qualità ma, come sostiene Milanovic a proposito dell’Italia, possono rivelarsi pericolose per la tenuta del sistema.