Nei giorni scorsi Andrea Marcigliano ha più volte insistito sulla “pazienza” cinese. D’altronde è un popolo con alle spalle migliaia di anni di civiltà e cultura. Dunque abituato a valutare tutto sulla base di periodi lunghi, anche lunghissimi. Nessuna fretta, a differenza degli statunitensi che, non avendo una storia alle spalle – e la storia dei popoli europei immigrati in Nord America viene cancellata dagli idioti politicamente corretti – hanno sempre fretta e non sopportano l’idea di venir sorpassati sotto l’aspetto economico visto che sono inesistenti sotto l’aspetto culturale.
Però, come sosteneva un fortunato libro di una trentina d’anni fa, anche le formiche nel loro piccolo s’incazzano. E quando le formiche sono quasi 1 miliardo e mezzo, non si può fare finta di niente. Lady Provocazione è sbarcata a Taipei convinta di dimostrare al mondo che la Cina è solo una tigre di carta, che gli Stati Uniti restano i padroni del mondo, che nessuno può osare sfidare la potenza americana. E dai guerrafondai, anche italiani, è partito immediato l’applauso.
D’altronde la reazione militare di Pechino è stata, di fatto, insignificante. Poco più di qualche fuoco artificiale, come ha spiegato Marcigliano. Un “fallo da frustrazione”, utilizzando un’espressione calcistica. Però la reazione vera, quella da non sottovalutare, è stata affidata al ministro degli Esteri di Pechino che ha rilanciato l’asse con Mosca. Non un asse militare, per la felicità degli atlantisti che puntano solo sulla superiore forza della Nato anche rispetto ad una eventuale alleanza russo-cinese.
No, Wang ha riproposto un’intesa con Mosca per costruire un nuovo equilibrio mondiale. Che per i pragmatici atlantisti da eiaculazione precoce non significa assolutamente nulla. Ma che, al contrario, rappresenta una sfida dalle conseguenze imprevedibili ma comunque rilevanti. Nuovo sistema per i pagamenti alternativo a Swift, abbandono del dollaro nelle transazioni internazionali, nuovi accordi commerciali. Già tra Mosca e Pechino l’accordo sposterebbe molti equilibri. Ma, a differenza di ciò che credono i maggiordomi di Biden, è l’Occidente ad essere isolato, non Russia e Cina.
Il loro accordo si estenderebbe immediatamente all’Iran, ad alcuni Paesi ex sovietici dell’Asia centrale, ad alcuni Stati africani. Probabilmente agli altri Paesi Brics (dunque India, Brasile e Sudafrica) ed a tutti quelli che hanno chiesto di entrare a far parte del gruppo. Già i Paesi del Golfo hanno accettato di utilizzare monete alternative al dollaro per la vendita di petrolio. Per ora sono soltanto proclami, ma è evidente che a Pechino hanno compreso che l’America di Biden non vuole rinunciare a guidare il mondo per tutelare gli interessi delle proprie multinazionali e per evitare di diventare la seconda potenza economica. Dunque si moltiplicheranno le provocazioni, le guerre per procura, le sanzioni unilaterali.
In questo scenario non si può trascurare il ruolo di Erdogan e della Turchia. Il “dittatore” (Draghi dixit) ha dimostrato che si può far parte della Nato senza prostituirsi per accontentare Washington. Ha mediato e continua a farlo nella guerra ucraina, si è conquistato un ruolo di potenza determinante nel Mediterraneo, è l’ago della bilancia nel Golfo Persico, accresce la propria influenza in Africa. Resta nella Nato ma si è creato rapporti privilegiati con Putin ed ha relazioni proficue con Xi Jinping.
Nella ridefinizione dei nuovi equilibri mondiali, la Turchia è uno snodo fondamentale. Mentre l’Italia atlantista e servizievole sogna soltanto un irrealizzabile blocco navale di fronte a Libia, Tunisia, Egitto, Algeria.. Non basterebbero neppure tutti i pedalò italiani. Piccoli sogni per piccoli politici.