Spengler diceva che la Colonna Dorica rappresenta l’ideale antico della vita.
È immagine estremamente efficace. E pregna di significati.
Proviamo ad immaginare questa colonna.
Lineare. Essenziale. Semplice. E di forma pura.
Nessun fronzolo. Nessuna ridondanza decorativa. Neppure la minima concessione, come in quella Ionica. Per non parlare dell’esuberanza floreale di quella Corinzia… o del barocco ante-litteram della Pergamena.
La Colonna Dorica è un asse che si leva, dritto e incontaminato, fra Terra e Cielo. Rappresenta l’Uomo. O meglio ciò che l’uomo dovrebbe essere.
Sospeso tra la realtà del mondo materiale, nella quale ha base, e le altezze celesti. Che sorregge con il suo capitello.
È semplice, dicevo. E, proprio per questo, bellissima. Linee pure, attraverso le quali discende la Luce. È il paradigma di una nuova visione del mondo. Che comincia proprio con i greci. O meglio, con la discesa dei Dori nella penisola ellenica.
Perché quelli che noi chiamiamo semplicemente “i Greci” sono, in realtà, un mosaico di popolazioni, diverse fra loro per usi, costumi , tradizioni… e pure per la lingua, che era un insieme di dialetti marcatamente distinti, pur con un fondamento comune. E che raggiunse una vera unità solo con la “Koiné” ellenistica. Quando, ormai, a scrivere e parlare greco erano genti che greche non erano. Come il più grande poeta del periodo alessandrino, Callimaco di Cirene.
Ioni, Eoli, Dori… per citare solo le tre distinzioni più importanti, e tacere delle altre – chi sa qualcosa degli Arcadi? O dei Focesi? – che ci venivano insegnate al primo anno di Ginnasio, con l’utilizzo di cartine colorate. In blu la Ionia, protesa sul mare, e con il suo fulcro in Atene. In verde l’Eolia, dispersa tra le isole, con il suo cuore in Lesbo e Mitilene.
E in rosso il Peloponneso. Terra dei Dori. Di cui Sparta resta il modello sociale ed etico esemplare.
Io non sono uno storico del mondo ellenico. Né un filologo. I miei ricordi risalgono ai, lontani, anni universitari… ad esami come Storia e Letteratura greca. E forse ancora di più a quelli di Civiltà Egea e Filologia micenea. Che mi rivelarono la complessità, il mosaico del mondo greco. E le sue, molte, stratificazioni. Non greci soltanto, ma Frigi, Paflagoni, Minoici… un microcosmo affollato… ed estremamente affascinante.
Il mondo greco – e in generale il Mondo Antico – è un mondo plurale. Fatto di tanti popoli e di tante lingue. Diversi, pur con dei fondamenti comuni.
Ed uno di questi fondamenti è lo stile dorico. Rappresentato perfettamente nella Colonna.
I Dori giunsero tardi. Proveniendo da Nord. Ed erano cavalieri dalle lunghe lance, conquistatori… il mito li trasfigura nel “ritorno degli Eraclidi”. Ovvero dei discendenti di Eracle. E basta questo per farci comprendere come fossero. E come apparissero ai popoli che andavano sottomettendo.
L’Eolia ci ha lasciato la lirica monodica. La poesia ad una sola voce, accompagnata dal suono della lyra, di Saffo, Alceo, Mimnermo….
La Ionia comincia con Omero. E culmina negli splendori dell’Atene Periclea. Nelle tragedie fu Eschilo, Sofocle, Euripide. In Platone ed Aristotele.
Ma il mondo Dorico? Quale il suo retaggio?
Abbiamo i lirici corali, che prediligevano la lingua dorica. Pindaro soprattutto. E Bacchilide.
Poco altro. Nulla, a Sparta, di paragonabile all’Acropoli di Atene, alle fatiche di Fidia, al disegno del Partenone tracciato da Ictinos.
Però tutti abbiamo nella mente la figura, storica e leggendaria insieme, di Leonida alle Termopili.
Dritto davanti al Re dei Re. Che gli chiedeva, in fondo, solo un atto formale di sottomissione. In cambio del governo di tutta la Grecia.
E lo avvertiva. Le nostre frecce oscureranno il Sole.
Meglio, rispose Leonida. Combatteremo all’ombra.
La Colonna Dorica, appunto.