Dal nostro corrispondente a Mosca
In settimane dense in cui i focolai di crisi sembrano emergere e riemergere dal nulla e all’improvviso, per puro caso, nell’area una volta sovietica e non solo, la tensione che ha maggiormente catturato l’attenzione dell’opinione pubblica è stata quella che ha interessato l’Armenia e l’Azerbaigian, lungo il confine tra i due stati nel Nagorno-Qarabag. Una parte dell’opinione pubblica di war-strategists improvvisati non ha perso l’occasione per esprimere alcune puntualizzazioni sulla presunta assenza della Russia in questo arco di crisi, evocando in particolar modo il mancato intervento della CSTO (ОДКБ), ovvero l’alleanza di difesa collettiva siglata da alcuni paesi ex sovietici tra cui Armenia e Russia, oltre che Kazakhstan, Tajikistan, Bielorussia e Kirghizistan.
Nucleo di queste singolari speculazioni sul mancato intervento dell’Organizzazione si basava sul fatto che la Russia, in quanto egemone dell’Organizzazione, sia stata reticente a intervenire assieme agli alleati per difendere l’Armenia dall’aggressione dell’Azerbaigian, seppur vi fosse richiesta da parte di Yerevan dell’attivazione dell’Articolo 4, riguardante la difesa collettiva tra gli stati membri, ai danni dell’Azerbaigian, Stato aggressore.
Sempre gli stessi, naturalmente, hanno visto il disimpegno di Mosca, paese egemone dell’Alleanza, sia come un segnale del declino russo, evidenziato dal suo over-stretch nell’area post-sovietica, che dell’esistenza meramente formale, sulla carta, della reciproca assistenza tra gli Stati membri del Patto di Tashkent.
Le cose stanno realmente così?
Ebbene, è utile ricordare anzitutto come funzionano le organizzazioni internazionali e, in generale, quelle aventi un trattato collettivo. Per prima cosa, come de jure è valevole anche per la NATO (cosa, invece, spesso dimenticata), quando vi è un articolo di un’organizzazione regionale militare che si rifà alla Carta ONU e in particolar modo all’articolo 51 sul diritto all’autodifesa, è bene sottolineare come la procedura antecedente all’applicazione di una norma specifica sull’autodifesa prevede prassi consolidate come la collegialità, l’interpretazione del diritto (la giurisprudenza, spesso vagliata dall’individuazione di interessi nazionali specifici) e, infine, la votazione a procedere.
Pertanto, se ne deduce che, a meno che non sia il caso di una potenza/superpotenza che esercita la propria volontà di potenza unilateralmente e al di sopra del diritto pattizio, nella maggior parte dei casi la gradualità è “conditio sine qua non” in questa casistica, considerando anche l’eventualità secondo cui la stessa gradualità possa coincidere con l’interesse dell’egemone. Dunque, tenendo in considerazione il recente arco di crisi caucasico e il ruolo avuto dell’ОДКБ, vale semplicemente quanto detto: la mancata attivazione dell’Art. 4 è risultato di una procedura regolare secondo cui gli stati membri, riunitisi collegialmente e vagliando l’interesse nazionale, hanno in questo caso deciso di non ricorrere all’attivazione della difesa collettiva.
La domanda sorge spontanea. Perché?
La risposta a questa domanda non può che originarsi dallo status giuridico internazionale del Nagorno-Qarabag e dalle conseguenti posizioni espresse degli stati membri della CSTO, che poi ha evidenti riflessi nella mancata applicazione della difesa collettiva. Il Nagorno-Qarabag appartiene a quella galassia di nazioni orfane dell’URSS che, una volta caduto lo Stato sovietico, si sono ritrovate in un limbo giuridico per via del particolare status di autonomia per cui si caratterizzavano in epoca sovietica, accedendo così dal 1991 o alla piena autodeterminazione (Transnistria) o al mantenimento dello status antecedente (Gagauzia) o, come in questo caso, trovandosi oggetto di rivendicazioni statuali opposte.
Il Nagorno-Qarabag si contraddistingue per alcuni fattori: essere un territorio ad etnia prevalentemente armena e di fede cristiana all’interno dei confini internazionalmente riconosciuti dell’Azerbaigian, stato laico ma prevalentemente di etnia turca e fede islamica; aver esercitato, dal 1991 ad oggi e a fasi alterne, un livello di sovranità tale da autogovernarsi come stato de-facto e coltivare l’ambizione di annettersi alla confinante Armenia.
Gli stessi Stati della CSTO, eccezion fatta ovviamente per l’Armenia, riconoscono il Nagorno-Qarabag come territorio sottostante la giurisdizione dell’Azerbaigian, senza alcuna ambiguità. La stessa Russia, paese egemone del Patto di Tashkent, nella persona del Presidente Putin si è espressa coerentemente nel tempo, non per ultimo durante gli scontri del 2020 che hanno successivamente portato all’accordo, condotto secondo i buoni uffici di Mosca, per un cessate il fuoco tra Yerevan e Baku.
Ne deriva in tal senso l’ovvietà per cui la CSTO, avendo già gli Stati membri una posizione netta e unanime sul Qarabag e constatando i Vertici CSTO che i fatti di queste settimane abbiano interessato una linea di confine che, seppur attualmente non di chiara demarcazione, sia indiscutibilmente territorio azerbaigiano dal 1991, non abbia voluto tentare una soluzione manu militari.
Ecco, dunque, spiegata la differenza sostanziale tra l’autorizzazione collettiva a procedere per l’avvio dell’operazione antiterrorismo in Kazakhstan a gennaio 2022 e il non intervento durante l’ultima crisi di confine armeno-azerbaigiana: una differenza contenutistica e di fondo, che ha visto la richiesta di difesa collettiva da parte di uno stato membro nei confronti di attori non-statuali capaci di comprometterne l’integrità nazionale, da un lato, e l’invocazione da parte di uno stato membro della difesa collettiva contro uno stato non-membro per fatti riguardanti un confine ufficioso illegale e de facto disconosciuto collegialmente, dall’altro.
Tuttavia, il non-intervento militare, o anche chiamato in gergo “boots on the ground”, non è coinciso con un totale disinteressamento dell’ОДКБ verso la vicenda e l’Armenia: al contrario, l’assemblea parlamentare dell’Organizzazione, organismo collegiale presente anche nell’omologa NATO, in concertazione con tutte le cancellerie dei paesi membri si è espressa a favore di una risoluzione diplomatica che sia coerente coi contenuti dei processi negoziali che, nell’arco trentennale di questa crisi regionale, hanno periodicamente portato al ceasefire tra le controparti: de-escalation, de-militarizzazione e rispetto dell’integrità nazionale. Inoltre, nella giornata di 23/09, l’ОДКБ ha effettuato un round di consultazioni coi vertici delle FFAA armene e una visita ufficiale nei luoghi interessati dall’escalation, tenendo incontri ufficiali con la popolazione civile locale, in vista della preparazione di un draft di pace tra Armenia e Azerbaigian.
Dunque, la CSTO, parafrasando una storica citazione di Macron sullo stato di salute della NATO, versa attualmente in una condizione di “morte cerebrale”?
Certamente no. Viceversa, ne risulta compromessa la controversa leadership di Pashinyan in Armenia, leader salito al potere nella repubblica caucasica a seguito di proteste che hanno defenestrato lo storico alleato di Mosca, Sargsyan, e con un programma originariamente europeista e moderatamente atlantista; una figura, quella di Pashinyan, una volta emergente ma ora tallonato dalle frange popolari più nazionaliste e irredentiste, favorevoli alla totale annessione dell’Artsakh. Sempre una figura, quella di Pashinyan, che ha cercato negli ultimi anni di riallacciare i rapporti con Mosca al fine di bilanciare la debolezza interna della propria leadership, in questo momento accusata di scarsa incisività nella stessa CSTO, di cui ironicamente detiene adesso la chairmanship.
In egual modo, ne risultano ancora più indeboliti il consenso del nazionalismo armeno e la legittimità delle sue rivendicazioni internazionali, oltre che ormai compromessa la già fragile statualità della Repubblica dell’Artsakh, il cui territorio è sempre più sotto il controllo dell’esercito azerbaigiano, capace di conquistare anche lo strategico corridoio di Lachin, e della leadership Aliev.
Una situazione, questa, di cui sta cercando di approfittarne gli USA, come evidenziato dalla tempestività della visita di Nancy Pelosi a Yerevan, con la sponda politica europea della lobby francese filo-armena, al fine di costruire l’immagine di Washington come main sponsor della causa armena nel Caucaso e, chiaramente, di indebolire il grip della storica presenza russa nella regione. Tutto ciò al rischio di ricevere, invece, un boomerang, a causa dei rapporti già incrinati della presidenza statunitense con la Turchia, sui dossier Kurdistan siro-iracheno e sul recente riorientamento filogreco e filo-cipriota di Washington.
Turchia, incrollabile alleato dell’Azerbaigian, come anche più volte riconosciuto e ammesso dalla presidenza russa, e game-changer degli equilibri NATO.
Infine, sempre riguardo lo stato di salute della CSTO, è utile fare luce sul recente ruolo del Kazakhstan, secondo partner per importanza e forza militare nell’Alleanza, assieme alla Bielorussia. La membership chiave di Astana, contrariamente a quanto ipotizzato da tanti commentatori occidentali alla luce del Vertice SCO e del mancato intervento a favore dell’Armenia, non è assolutamente in discussione. A riferirlo è stato, dieci giorni fa, il Presidente della Commissione Sicurezza-Difesa del Majilis Aidos Sarym, ribadendo che la sospensione del Trattato CSTO o la recessione del Kazakhstan dalla CSTO sono voci totalmente prive di fondamento. Ed è infatti il Kazakhstan che si sta preparando ad ospitare e a partecipare attivamente agli esercizi КСОР-ОДКБ, dal 26/09 al 08/10: le esercitazioni Interaction-2022, Search-2022 ed Echelon-2022 vedranno i contingenti militari degli stati membri coordinarsi effettuando movimenti su rotaie, in via aerea, su strada e lavorando sulle questioni del servizio di comando, difesa aerea, stabilità regionale e sicurezza globale.