Chi ha una certa età avrà assistito con un profondo senso di sconforto alle ultime repliche del dibattito sullo Stretto di Messina, con il ritorno dall’ipotesi ponte (che forse dopo Genova evoca un immaginario di pericolo e morte) a quella tunnel, partorita nel lontano 1980: praticamente il riciclo di un’idea dopo 40 anni esatti. Voteremmo per la franchezza un partito e un leader che ammettessero nel loro programma: “Rassegnatevi a fare la fila all’imbarco a Villa San Giovanni”.
Non minore desolazione ha ispirato lo stupito entusiasmo per il riuscito collaudo del Mose, monstre costato 5,5 miliardi e secondo alcuni già obsoleto, dopo 40 (o 56, a seconda dei conteggi) anni dall’avvio del progetto. D’altronde, nel paese dove servono 65 passaggi in 26 sportelli per avviare un’impresa, con 18 mila euro di costi, non ci si indigna per l’annunciata soluzione della querelle Alitalia, carrozzone volante che ci costa 1.150.196 euro al giorno (l’ Ilva, in sei anni, ha invece perso 3,6 miliardi).
Non che le grandi opere non siano volano di sviluppo ma l’Italia è ormai un paese, per tornare a Genova, in cui si decanta come un miracolo la costruzione di un viadotto in due anni, dimenticando i tempi di realizzazione dell’Autosole (per non evocare nostalgicamente la bonifica delle paludi pontine).
Non stiamo rimpiangendo né il modello pubblico-privato, né tantomeno quello del trasporto su gomma, è una semplice constatazione. Scorriamo solo qualche notizia degli scorsi due anni: i Comuni non sanno fare gli appalti, ferma un’opera pubblica su tre, al Sud il record di incompiute (Repubblica, 6 maggio 2018); ci vogliono 14 anni per un viadotto, la burocrazia allunga i tempi del 42% (Corriere della Sera, 20 giugno 2018); il 41% dell’acqua si perde prima di arrivare a Roma (Corriere della Sera, 5 ottobre 2018); ricostruite solo 350 case a due anni dal sisma dell’Italia centrale (Corriere della Sera, 20 novembre 2018); 150 miliardi stanziati per infrastrutture e a disposizione del governo, di cui meno del 4% speso (Corriere della Sera, 7 gennaio 2019); perché Roma è così zozza, 3.000 tonnellate al giorno di rifiuti indifferenziate (Venerdì, 15 febbraio 2019); 36 miliardi di opere bloccate (Repubblica, 23 febbraio 2019); la scala mobile che da 25 giorni nessuno riesce ad aggiustare, riferimento alla metropolitana capitolina (Corriere della Sera, 25 febbraio 2019); Roma è la più trafficata, il 39% del tempo sprecato negli incolonnamenti, a ridosso di metropoli congestionate come Nuova Delhi (Repubblica, 5 giugno 2019); il Governo Conte 3 ha ereditato 352 decreti attuativi non ancora approvati (Repubblica, 4 novembre 2019); traffico, smog, incidenti, 120 miliardi i costi economici e sociali della cattiva gestione dei servizi e delle infrastrutture in una ricerca della Sda Bocconi (Repubblica, 27 novembre 2019).
L’elenco delle magagne nazionali può essere considerato una sorta di rito esorcistico, ma in realtà è avvilente se si pensa a quanto consenta la paradossale base dell’impunità di qualsivoglia amministratore centrale o locale: basti dire che il sindaco uscente di Roma Capitale, Virginia Raggi, abbia deciso di ricandidarsi.
Vuol dire che nessuna malagestione, per quanto inetta e prolungata, induce chi ne è responsabile a fare un passo indietro nel timore di essere travolto dal dissenso elettorale. Probabilmente il giudizio dei cittadini è così viziato dall’ideologia che non esiste realtà di fatto abbastanza catastrofica. Siamo un paese privo di leadership, di cultura, di senso civico, una matassa aggrovigliata in cui nessun filo si salva, a cominciare dall’elettorato stesso. Questo spiega l’arroganza del potere.
Però una cosa la potremmo pretendere. Non avendo più alcuna ragionevole speranza di un piglio più razionale e decisionale, potremmo almeno pregare i manovratori di non tirar più fuori l’attraversamento dello Stretto o la risoluzione dei casi Ilva e Alitalia? Li continuino a (non) gestire come adesso, non ci assicurino né piccole né grandi opere, lascino andare allo sfascio il Paese come sempre, ma in silenzio. Senza spacciare per nuova un’idea di 40 anni fa.