“È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale..”. È l’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Uniine europea. Qualcuno l’ha anche invocato per attaccare gli alpini rei di aver fatto dei complimenti ad alcune ragazze a Rimini. Però, curiosamente, nessuno ha chiesto di utilizzare l’articolo 21 per intervenire contro il sindaco di Milano, Beppe Sala, quando ha cacciato il direttore d’orchestra della Scala solo perché russo.
Nessuno ha pensato a sanzionare la discriminazione tentata da Malagò che ha provato a vietare ai tennisti russi la partecipazione agli internazionali di tennis di Roma. E quali motivazioni, se non l’odio etnico, sono alla base dell’esclusione dei cantanti russi dall’Eurovision song contest? Dalle coppe europee di calcio?
Però, su questo, nessuno fiata. Sulla caccia alle streghe, scatenata da un’orda di giornalisti che riescono ad umiliare ulteriormente il prestigio di una categoria già ai minimi storici, nessuno ha qualcosa da ridire. D’altronde negli imperdibili corsi di aggiornamento professionale si insiste sulla necessità – anzi l’obbligo – di scrivere assessora e ministra quando il ruolo è ricoperto da una donna. E si aggiunge che, qualora l’interessata volesse la qualifica al maschile, il giornalista DEVE precisare che è la donna in questione a definirsi direttore d’orchestra o presidente del senato. Queste sono le uniche discriminazioni di cui è giusto occuparsi.
Chissenefrega se artisti e letterati russi vengono cacciati. Chissenefrega se chi ha idee politiche diverse dal pensiero unico obbligatorio viene escluso dall’informazione o viene immancabilmente presentato come un mostro che non fa parte del consesso umano. L’Unione europea vieta discriminazioni di questo tipo ma cosa sia la discriminazione lo decidono i servitori del politicamente corretto. Le lingue minoritarie vengono irrise – con la meritoria eccezione del Trentino – ma va bene così perché bisogna parlare tutti in inglese. Le opinioni vanno rispettate purché piacciano agli oligarchi ed ai chierici della disinformazione di regime. In caso contrario scatta la censura. Le opinioni scomode vengono escluse dai social, vengono rappresentate in modo distorto dai pochi media che se ne occupano.
Ma i sacerdoti dell’antidiscriminazione tacciono. Troppo impegnati nel condannare un “ciao bella” non desiderato (ed anche immotivato) per potersi dedicare agli artisti russi che non hanno voluto sputare sulla propria patria e che, di conseguenza, sono stati discriminati dai democratici italiani.