Nel corso della campagna elettorale, quando Electomagazine aveva pronosticato una sconfitta generale del centrodestra nelle prime 5 città (Roma, Milano, Napoli, Torino e Bologna), un lettore aveva protestato sostenendo che i conti si fanno solo alla fine. Siamo arrivati alla fine ed il centrodestra ha perso in tutte le 5 città. Difficile far peggio, anche perché ha perso molto male. Con distacchi netti a Roma e Torino dopo aver perso al primo turno nelle altre città.
E diventa molto difficile ribaltare la realtà sostenendo che aver perso Roma ma aver tenuto a Trieste significa 1 a 1. Che perdere Torino ma aver vinto a Beinasco e Carmagnola significa un trionfo. Persino a Latina il centrodestra è riuscito nell’impresa di perdere al ballottaggio dopo essersi illuso di aver vinto al primo turno.
Se al vertice dei partiti del centrodestra ci fossero politici coerenti, sarebbero arrivate dimissioni immediate dell’intera classe dirigente. Perché non basta andare in tv ad ammettere che sì, forse, i candidati scelti non erano proprio il massimo. Troppo comodo, e neppure vero in qualche caso. Paolo Damilano, a Torino, non era un candidato sbagliato. Sbagliata, completamente, era la coalizione che non ha saputo presentare un progetto per la città.
Sbagliata, ovunque, è stata la strategia di puntare al centro, a quei moderati che piacciono a Berlusconi ma ai quali Berlusconi non piace. In compenso questa corsa al centro ha fatto perdere i voti delle periferie. Che non si sentono rappresentate dai maggiordomi di Confindustria, che non si riconoscono in una politica a favore di chi sta facendo schizzare i prezzi per lucrare sulla fantomatica ripresa.
Tre partiti, più ammennicoli vari, che hanno rinunciato alla propria anima per andare alla ricerca di un elettore che esiste solo nei sogni notturni di chi ha mangiato pesante. Persino l’anima plastificata di Forza Italia è stata accantonata per inseguire il politicamente corretto, la sessualità fluida, la cancel culture, qualunque idiozia imposta dagli avversari e veicolata dalle “fidanzate” del sultano. La Lega ha rinunciato al federalismo, Meloni ha reciso le radici ma senza pensare a come alimentare l’albero.
Tutti e tre – Salvini, Meloni e Berlusconi – sono convinti che bastino i solisti per far vincere i rispettivi partiti e per governare l’Italia. Un errore madornale. Servono grandi direttori d’orchestra che sappiano far convivere ottimi musicisti, possibilmente i migliori per ciascuno strumento. Ma per arrivare a questo risultato occorre ribaltare tutto ciò che è stato fatto in questi anni. Senza cultura, senza preparazione, senza studio non si hanno ottimi orchestrali. E un direttore, per quanto bravo, non trasformerà in una grande orchestra un gruppo di amici degli amici che non sanno suonare e non hanno voglia di imparare.