Divide et impera, dicevano gli antichi romani. Un motto che deve aver ispirato il binomio Mattarella/Draghi, nel corso dei dieci giorni della crisi di governo.
I due, infatti, sono riusciti a compiere un vero colpo di mano politico che non ha precedenti nella storia della Repubblica.
In un primo momento, agitando lo spauracchio delle tre “emergenze, sanitaria, sociale ed economica” hanno compattato la stragrande maggioranza dei gruppi parlamentari intorno al nome del neo-presidente: e lo hanno fatto senza lasciar trapelare nulla sulla composizione del nuovo governo, tanto che tutti i partiti che avevano già assicurato il loro voto di fiducia hanno ignorato fino all’ultimo chi sarebbero stati i nuovi ministri. E lo stesso dicasi del programma che, a tutt’oggi, resta un mistero.

Ma ancora prima “i due presidenti” erano già riusciti a spaccare il Centrodestra, con Berlusconi che a Draghi non poteva dire di no, con Salvini cha cedeva alle pressioni del suo elettorato di riferimento, e la Meloni che decideva di stare a guardare la macelleria altrui.
Già, perché la frantumazione del panorama politico italiano si è completata subito dopo che la composizione della squadra di governo è stata annunciata.
I 5Stelle, che avevano preteso il neonato (e da loro inventato) ministero della transizione ecologica, se ne vedevano defraudati a vantaggio del “tecnico” Roberto Cingolani. Il che ha aggravato la fronda interna guidata da Di Battista, e che potrebbe convincere ben trenta senatori a non votare la prossima fiducia. Il fatto che tutti i ministeri del Pd siano stati assegnati a uomini, ha mandato su tutte le furie Debora Serracchiani e l’intera componente femminile del partito. E certo non basterà che si cerchi un rimedio distribuendo alla “quota rosa” qualche posto da sottosegretario. Inoltre la componente moderata del partito è stata penalizzata a favore dell’ala più oltranzista guidata da Andrea Orlando.

I gruppuscoli che stanno alla sinistra del partito guidato da Zingaretti si sono dovuti accontentare della conferma di Roberto Speranza al dicastero della salute. Una patata bollente che nessuno, in questa fase, vorrebbe avere tra le mani. E Sinistra italiana si è spaccata e voterà in ordine sparso.
Ma il vero coup de theatre di Draghi è stato quello che ha colpito ulteriormente Lega e Forza Italia. Salvini ha mal digerito che a occupare le tre poltrone destinate al suo movimento siano esponenti moderati, europeisti e ben lontani dagli slogan lanciati durante i mesi in cui lui stava all’opposizione. Allo stesso modo a Berlusconi è andato di traverso il fatto che al suo partito siano stati destinati tre ministeri senza portafoglio, causando molto più che semplici scuotimenti di testa tra i suoi.
L’unico che se ne è rimasto zitto zitto è stato Renzi, nella speranza che la visibilità ottenuta con il suo tentativo, pienamente riuscito, di far cadere il governo Conte-bis gli possa portare consensi alle prossime elezioni.
Intanto Draghi – con il pieno appoggio di Mattarella – si è tenuto in mano tutti i dicasteri che contano; d’altra parte non penserete mica che i rapporti internazionali li lascerà nelle mani di un Di Maio qualunque, no?

E in questa polverizzazione del sistema partitico italiano, oggi tutti invidiano la leader di Fratelli d’Italia che, con un gesto a suo tempo definito “azzardato”, ha deciso di rimanere fuori dai giochi, riservandosi il ruolo di unica opposizione. Una decisione che ha mantenuto integro il suo partito e che le apre ampie prospettive di incrementare ulteriormente il suo consenso elettorale.
Tanto, una volta eletto il nuovo Presidente della Repubblica, si tornerà alle urne. E, prima che ciò accada, non passeranno certo anni.