Premesso che non sono democratico perché non sono superstizioso – rubando una provocazione di Massimo Fini – mi sono trovato perfettamente in sintonia con chi alla democrazia ci crede ed è un ottimistico sostenitore. Parlo di Sabino Cassese, giudice emerito della Corte costituzionale e professore emerito della Scuola Normale Superiore di Pisa.
Parto da alcuni dati che il professore ha indicato in una lezione magistrale di quasi cinque anni fa (5/12/2017).
Nel 1948, il PCI, il PSI e la DC superavano i 10 milioni di iscritti, decimati a 400mila in sessant’anni. La partecipazione al voto, per trent’anni variava dal 92 al 93%, attualmente a poco più della metà. Un 30% di cittadini erano partecipanti attivi dai 14 anni in poi, oggi meno dell’8% con scomparsa dell’attivismo giovanile.
Sono, questi, degli indicatori che dovrebbero essere degli spunti di riflessione per coloro che pretestuosamente si spacciano per politici. Invece no. Concluso lo spettacolo elettorale, tutti a ergersi accusatori delle colpe altrui per la propria sconfitta, oppure a giocolieri della statistica trascinata in improbabili interpretazioni o, ancora, a patetici strateghi per il prossimo impegno cartaceo.
Un altro democratico convinto, Luciano Canfora, comunista doc e perciò stimabile interlocutore, per definire il politicante attuale, dedito all’amministrazione spicciola e ai miserabili cabotaggi quinquennali, lo paragona al criterio di Tucidide: il vero politico è quello che congettura, che prevede, che ipotizza quello che può accadere e che definisce lo scenario storico al quale deve tendere.
Per molti versi peggiora la diagnosi di Cassese, inquadrando la disaffezione del popolo e la sua rinuncia al diritto di voto per la consapevolezza che le decisioni vengono prese altrove, e per l’assenza di partiti veri trasformati in comitati di affari per il mantenimento di figure mediocri, scarsamente colte e competenti.
Del resto, i due eccezionali pensatori, non possono ammettere che è questa la democrazia: perché solo politici invertebrati e socialmente falliti possono essere manovrati e ricattati dal regista dello spettacolo delle marionette.
Rimane da definire come intercettare quella percentuale elevata di astensionisti, che non sono moderati, che non sono ipnotizzati dalle lusinghe degli illusionisti, che hanno ben chiare le idee sui finti oppositori e sui trasformisti variamente diffusi. Quella percentuale determinante che il potere continua ad inibire giocando sporco sugli antagonismi ingannevoli e artificiosi condensati nel prefisso anti-, distraendoli dall’unico nemico contro il quale condividere una battaglia comune.
Il “marciare divisi per combattere uniti” resta un argomento a parte e, comunque, un auspicio mai accantonato.