La crescente frequenza di epidemie è legata ai cambiamenti climatici e alla perdita di biodiversità. Le nuove tecnologie offrono speranza nella ricerca di contromisure; ma anche la protezione del mondo naturale è necessaria. In questo scenario la finanza può svolgere un ruolo-chiave.
L’aggressività umana verso l’ambiente rende sempre più probabile il contatto con patogeni e universi macrobiotici ancora del tutto sconosciuti alla scienza. Ne sono esempi la deforestazione, che avvicina l’uomo ad un habitat che non ne prevedeva la presenza, oppure gli allevamenti intensivi, dove prolifera letteralmente di tutto; ma anche l’estinzione di molte specie animali costringe i batteri che vivevano nei loro intestini a trasferirsi altrove.
I virus sono, infatti, tra i tanti profughi della distruzione ambientale. “Se riuscissimo a mettere da parte un po’ di egocentrismo, ci accorgeremmo – scrive Giordano in “Nel contagio” – che non sono tanto i nuovi microbi a cercarci quanto noi a stanare loro”.
Microrganismi mai censiti dalla scienza potrebbero avere bisogno di una nuova patria, e quale terra migliore degli essere umani, che sono tanti e ovunque?
Siamo oltre sette miliardi di persone, decisamente troppi per questo ecosistema, che ci ostiniamo a sfruttare e occorre prendere in considerazione anche il fatto che il bisogno crescente di cibo induce milioni di persone a mangiare selvaggina a rischio, tra cui i pipistrelli,che sono malauguratamente anche serbatoi di Ebola.
Non è un caso se la frequenza dei focolai di malattie sia aumentata costantemente, colpendo tutti i Paesi del mondo. Un certo numero di tendenze ha contribuito a questo aumento, inclusi l’aumento di viaggi globali, commercio, connettività e vita ad alta densità, ma sono proprio i collegamenti con i cambiamenti climatici e la biodiversità i più sorprendenti.
Ritornando alla deforestazione, essa è cresciuta di continuo negli ultimi due decenni ed è collegata al 31% dei focolai come l’Ebola e i virus Zika e Nipah. Più in generale, i cambiamenti climatici (alluvioni, siccità, ecc.) hanno alterato e accelerato i modelli di trasmissione di malattie infettive come la Zika, la malaria e la febbre dengue e hanno provocato lo sfollamento umano.
La migrazione di grandi gruppi verso nuove località, spesso in condizioni sfavorevoli, aumenta la vulnerabilità delle popolazioni sfollate a malattie come il morbillo, la malaria, la diarrea e le infezioni respiratorie acute.
Il tempo della quarantena è una grande occasione per riflettere che non siamo i padroni del mondo ma parte di un fragile e superbo ecosistema, che dobbiamo tutelare. Come?
Ed è qui che scendono in campo gli investimenti sostenibili e responsabili, ossia che incorporano i fattori ambientali, sociali e di buon governo (“environmental”, “social” and “governance”, o “Esg”), che, per fortuna, sono in rapida crescita. Ne sono previsti per 53.000 miliardi di dollari nei prossimi anni.
Nel 1987 la Commissione Mondiale sull’ambiente e lo sviluppo delle Nazioni Unite ha redatto il rapporto Brundtland, in base al quale viene definito “sostenibile quello sviluppo che consente la soddisfazione dei bisogni economici, ambientali e sociali delle attuali generazioni, senza compromettere lo sviluppo delle generazioni future”.
Sempre più spesso, investire in società “sostenibili” può voler dire anche scegliere società con caratteristiche molto innovative.
Mentre prima del 2011 erano i rischi economici a essere i più temuti, negli ultimi anni sono stati i rischi ambientali quelli reputati più importanti e con maggiore probabilità di accadimento; in particolare: eventi climatici estremi; disastri naturali; fallimento delle misure di adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici. Anche i rischi di tipo “sociale”, come le migrazioni e le crisi idriche.
La Finanza sta rispondendo al «Climate Change» con prodotti finanziari sostenibili. L’industria finanziaria può infatti ricoprire un ruolo importante nel cercare di contrastare, o comunque mitigare, le gravi conseguenze negative ad esso correllate, anche quelle di tipo sanitario e economico-finanziario, come stiamo vivendo oggi. È una sfida complessa che richiede la collaborazione di governi, società, aziende, investitori e asset manager.
Infine, una delle modalità per migliorare la situazione è ricordare il concetto di “economia circolare” o del riciclo: essa è «pensata per rigenerarsi da sola» e «mantenere l’utilità di prodotti, materiali e componenti» più a lungo nel tempo, ottimizzando il rendimento delle risorse e riducendo o eliminando le «esternalità negative».
Modelli circolari sono quelli caratteristici dei «sistemi viventi»; per avvicinarsi a tali modelli, sarebbe necessario ripensare a come progettare molti prodotti, allungandone il ciclo di vita e rendendone più facile il riutilizzo (come, ad esempio, la Share Economy, il Car Sharing, il riciclo di rifiuti e altri beni, le energie rinnovabili).