Era la fine degli anni ’50 quando con la nonna siamo scesi a Torino da un luogo che era rimasto nel Medioevo, salto in un mondo diverso, per noi alieno.
Il paese da cui arrivavamo è ora deserto, mentre il mondo dove ero atterrato ora si interroga su quale sia l’avvenire possibile.
In pochi decenni la mia generazione è stata testimone di cambiamenti mai avvenuti in così breve tempo nel periodo storico conosciuto.
Lasciare alle spalle un mondo per scoprirne uno completamente diverso, per me, ragazzino e per mia nonna, donna nata ad inizio ‘900 non è stata cosa semplice, ha lasciato tracce e i ricordi di allora sono scolpiti nella mia mente.
“Aicì avem tot aquò que nos chàl, mas siem pas contents”, qui abbiamo tutto quanto ci occorre, ma non siamo contenti, questa sua considerazione riassume la differenza tra benessere e felicità e il suo “a Torin lhi a mai de gent que de personas”, a Torino c’è più gente che persone, è la sintesi della differenza tra il concetto di “massa” e quello di “comunità”.
La cosa che più di tutto però in allora mi aveva lasciato esterrefatto era vedere vendere l’acqua nelle bottiglie, per me era cosa impensabile, incomprensibile sia il vederla vendere che acquistare.
Che senso aveva questo inutile commercio quando si aveva la sorgente a disposizione in casa, quando l’acqua usciva quando serviva, semplicemente aprendo un rubinetto.
Arrivavamo da un luogo in cui l’acqua era preziosa, la si andava a prendere alla sorgente a duecento metri da casa con su una spalla una sbarra fatta solo per quello a cui erano appesi due “posalhs”, due secchielli di legno di pino cembro, che servivano solo per l’acqua.
In casa poi c’era una panca su cui posare quei due “posalh” e in uno, quello a destra, c’era la “cassa”, mestolo di forma squadrata di rame stagninato che serviva, anche quello, solo per bere l’acqua, altri mestoli non erano ammessi.
L’acqua bevuta dalla “cassa” comunque vi assicuro che è più buona, provare per credere!
Quella sorgente dispensava a tutti quello che per la comunità era un “bene comune”, qualcosa di prezioso, di indispensabile, e appunto per questo non aveva prezzo ed era a disposizione di tutti.
Insomma, a Torino da un rubinetto l’acqua scorreva in ogni stagione, specialmente d’inverno e il “posalh” non serviva più. Questa era la comodità che faceva la differenza, peccato che la “cassa” non c’era più, pazienza.
Perché allora era in vendita una bottiglia di quello che per me era un “bene comune”? Dove ero capitato?
Ieri andando a vedere un film, al bar del cinema mi sono trovato sul bancone quello che per me è l’evoluzione della specie: l’acqua venduta in lattina, questa in lattina non l’avevo ancora vista.
Il quesito vecchio di sessanta anni mi si è riproposto e mi sono nuovamente ritrovato, come allora, fuori tempo.
Ho avuto la fortuna di passare dal Medioevo a Postmoderno, ma un quesito antico continua a non avere risposta.
Un quesito che ne riassume molti altri, che riassume la differenza tra un mondo consegnato all’oblio e uno che sta interrogandosi sull’avvenire possibile.