Quasi 7 milioni di uomini, di età compresa tra i 25 ed i 54 anni, non lavorano nè cercano lavoro, oltre il quadruplo di quanti sono formalmente disoccupati.
No, non è il quadro della situazione italiana. È la realtà statunitense dell’era Trump. Riportata non da Marco Rizzo, inguaribile nostalgico del comunismo sovietico, bensì da Pietro Terna, ex direttore di Confindustria Piemonte.
Terna su “La porta di vetro” riprende, e traduce, un saggio di National Affairs, legato al think tank di area conservatrice repubblicana Aei (American Enterprise Institute). Dunque non gli avversari di Trump, ma i suoi sostenitori. E già su questo ci sarebbe da riflettere, per la capacità di analisi oneste e corrette a prescindere dalla vicinanza politica. Non proprio il mondo della Leopolda, tanto per chiarire.
“Tra il 1965 ed il 2015 – prosegue l’analisi – la percentuale di uomini statunitensi in prima età (25/54 anni, Ndr) non appartenenti alla forza lavoro è aumentata dal 3,3 all’11,7%”. Insomma, il reddito di cittadinanza in versione yankee ha dato i suoi frutti.
Ma Terna prosegue e prende in esame anche un rapporto dell’Ilo-Usa sulla famigerata gig economy, ossia lo sfruttamento attraverso i lavoretti come la consegna di pizze a domicilio. “Nel 2017, 55milioni di persone negli Stati Uniti sono lavoratori gig. Questo rappresenta circa il 34% della forza lavoro statunitense e dovrebbe aumentare al 43% nel 2020”, cioè quest’anno.
Dunque poco meno della metà della forza lavoro è precaria ed è occupata in attività di scarso livello professionale. Un gigante dai piedi d’argilla e che riesce a proseguire nel suo predominio mondiale solo attraverso accordi con l’altro gigante solido solo all’apparenza: la Cina. Dopo le guerre sui dazi volute da Trump, l’accordo era inevitabile poiché i due giganti si sostengono a vicenda. E considerando le rispettive situazioni interne è altrettanto inevitabile che le due potenze debbano puntare su produzioni sempre di minor qualità per andare incontro ad una sempre più ridotta capacità di spesa di una consistente parte della popolazione. La crescita delle Borse, in questo contesto, assomiglia ad una corsa verso il baratro delle bolle speculative pronte ad esplodere.
Non sono certo gli schiavi della gig economy a poter acquistare il Parmigiano gravato di dazi. Si accontentano, quando va proprio bene, del parmesan a basso prezzo ed infima qualità. Lo stesso vale per la Cina dove, al centinaio di milioni di abitanti in grado di acquistare i prodotti europei, fa da contrappeso il miliardo abbondante di chi può acquistare, nella migliore delle ipotesi, l’abbigliamento finto italiano e vero tarocco.
Però Cina e Stati Uniti restano due potenze perché hanno una capacità politica che manca totalmente nella vecchia Europa. Hanno un’aggressività individuale e collettiva che si confronta con la passività e la vigliaccheria degli europei. Però le fondamenta delle due economie principali del pianeta non sono solide. E la crescita dello sfruttamento non rappresenta una inversione di tendenza che lasci spazio all’ottimismo.