Lo scortato partenopeo, che la mafia non se lo caga neanche di striscio e che dev’essere protetto solo dagli sputacchi dei suoi compaesani e non, gnaula con brividi di indignazione perché alcuni personaggi da lui insultati lo intendono querelare.
Ma va, cose dell’altro mondo, o dell’altro giornalismo. Una penna sottile e una fotocopiatrice di regime che vengono sottoposte ad uno stress giudiziario solo per qualche motivata e intellettuale azione di bullismo.
Non c’è più religione! Dopo Julian Assange e Ahmet Altan, condannato all’ergastolo in Turchia e autore dell’emozionante diario “Non rivedrò più il mondo”, anche il suolo italico ha il suo martire dell’informazione.
Del resto, l’Ordine dei Giornalisti è da tempo dedito al piagnisteo contro una sempre più intrigante e pervasiva censura.
Lo si è visto nel comportamento durante la programmata crisi pandemica con la sublime sobrietà nel diffondere terroristicamente le fandonie governative. Si è assistito quotidianamente alla compostezza, alla moderazione e all’imparzialità nella conduzione dialettica degli incontri televisivi. Lo si è accertato nei comportamenti di uno Scanzi o di un Parenzo, dediti alla rozza squalifica e alla zotica squalifica degli interlocutori, usati dall’informazione come agenti di disturbo e di provocazione.
Ah, no. Mi sbaglio. La censura era solo per i dissenzienti, mentre i portavoce e i giornalisti da riporto del mainstream erano liberissimi e irresponsabili nell’operazione di misinformation.
E pensare che addirittura si manifesta, come accaduto a Roma con il presidio a Piazzale Clodio, davanti al Tribunale – tanto per precisare – martedì 8 novembre 2022, per opporsi “con fermezza a chi tenta di relegarci a solo megafono per veline ‘di regime’, rinunciando al nostro diritto dovere verso la comunità di raccontare i fatti”. Udite, udite. Le vestali della propaganda rivendicano un diritto che non hanno mai rispettato in questi anni di farsa pandemica, e continuano beatamente a stracciarlo.
Ma c’è di più. Addirittura ventilano l’ipotesi che la “legge sulla presunzione di innocenza [possa essere] un pericoloso alibi”. Della serie, un imputato può essere sputtanato fintantoché la sentenza definitiva non affermi il contrario. Mi sta pure bene. Ma una domanda sorge spontanea: poi chi paga? Questi pensano pure di risolvere l’inghippo, dopo martellamenti quotidiani in prima pagina o in prima serata, con la miseria di un trafiletto in cronaca.
E no, signori. La parola ha un valore, un senso e un rischio. Anzi, come dice Ernst Jünger – che cito immeritatamente per voi lamentosi – “la libertà è un rischio. Ma chi la pretende gratis dimostra di non meritarla”.
Perché, e concludo ad esempio unificato con il prode Saviano, ci dev’essere una norma ideale tra libertà di espressione e licenza di discredito, tra indipendenza di giudizio e arbitrio di disprezzo, tra autonomia di pensiero e abuso di insulto.
Tutto il resto del piagnisteo è fuffa demagogica e presunzione di intoccabile onnipotenza.
1 commento
SAVIANO va processato e condannato, perché è necessario ristabilire la legalità.
Oltre ad essere sempre presente con le sue continue idiozie, deve almeno evitare di calunniare ed insultare che è intelligente e ragiona in modo corretto