Plenilunio di Dicembre. La Grande Luna Fredda, come la chiamavano le Nazioni dell’America Settentrionale. Prima, ovviamente, che l’America avesse nome. E che le Nazioni venissero, sistematicamente, sterminate. Per far posto alla grande democrazia dell’uomo bianco…
Comunque è la Luna che apre l’inverno. E, quest’anno, coincide con il Solstizio. E quando questo accade, l’altro suo nome è la Luna della Lunga Notte.
Perché questa è la Notte più lunga dell’anno. E la Notte è il Regno della Luna. È una congiunzione rara. Plenilunio e Solstizio. Dal forte, profondo, valore simbolico. Perché tutto ciò che avviene fra gli astri si riflette sulla Terra. O, forse, le cose del nostro mondo non sono che ombre delle stelle. Ombre delle idee, tanto per fare la citazione colta… Giordano Bruno, ovviamente.
Avendo gli strumenti adatti, vedremmo, per altro, il cielo notturno attraversato da sottili scie luminose. Le Ursidi, che secondo alcuni astronomi giungono dalla direzione di Giove. Le stelle cadenti dell’inverno, meno famose, certo, di quelle di San Lorenzo. Ma legate al mistero di questo momento. Perché questa è la, fredda, Luna di Yule.
Yule, nelle lingue norrene Jöl, è festa antichissima, che copriva l’ultimo scorcio di dicembre e l’inizio di gennaio. Fu poi cristianizzata, facendola coincidere con il periodo di Natale, sembra per volere, o ispirazione, dello stesso Gregorio Magno. Che non fu solo un, grande, pontefice. Ma anche, e soprattutto, un uomo di profonda cultura. Che vedeva il Cattolicesimo come una grande sintesi di tutte le tradizioni spirituali precedenti. Non per nulla discendeva, con ogni probabilità, dalla gens Anicia. La stessa stirpe di Boezio. Che ci volete fare…allora i Papi venivano scelti con altri criteri…
Comunque di questo Yule le origini si perdono nella, canonica, notte dei tempi. Non si sa neppure cosa la parola significhi. Per molti linguisti vuol dire “Ruota”. Allusione al ciclo dell’anno che, in queste ore, giunge a compimento. E si rinnova. Ma altri sostengono che sia, addirittura, una parola pre-indoeuropea. Appartenente ad una delle, misteriose e ignote, lingue di quella che Marija Gimbutas ha chiamato Europa Antica. La civiltà senza nome del neolitico. Sviluppatasi circa 7.000 anni fa. E fiorita, sino a che, dalle steppe, non giunsero i cavalieri del Kurgan. I conquistatori Indo-Europei. Se vogliamo, i nostri, violenti e selvaggi, Padri.
Di Yule, e dei suoi usi, restano certi addobbi natalizi. Il vischio, l’agrifoglio… Forse lo stesso Albero di Natale. Che, però, in origine, doveva essere un frassino.
E poi l’uso dei pani dolci, che venivano offerti agli Dei nei boschi sacri. E il pasto a base di carne di maiale. Che veniva sacrificato nella notte di Luna precedente il Solstizio. E il maiale è animale, e vittima, legata soprattutto agli Inferi. Sacro a una Grande Dea che, probabilmente, doveva avere molti caratteri comuni con la romana Proserpina. Che, appunto, è la Luna. Come ci ricorda ancora Dante nel suo dialogo con l’anima di Farinata degli Uberti “Ma non cinquanta volte fia raccesa /la faccia della Donna che qui regge…”
Il Plenilunio di Dicembre, l’ultimo dell’anno, rappresenta la luce argentea e dorata della Dea che fende le tenebre di una natura, in apparenza, morta. E annuncia il ritorno, prossimo, del Carro del Sole nel suo percorso ascendente. Porta la speranza, dunque, nel momento più buio. E ne abbiamo bisogno. Oggi più che mai.
Esco in terrazza. Accendo la pipa. Fa decisamente freddo anche per Roma. Ma ho un maglione pesante. E il fornello della mia vecchia Parker mi scalda le mani…
E poi c’è Lei. Lassù. Gigantesca e lucente. So che è solo suggestione, eppure… Mi sembra che emani calore. E che questo mi entri dentro e fluisca, come fiamma sottile, nelle membra.
Yule!