Da oltre settant’anni in Italia ci si arrovella, il più delle volte sterilmente, nell’eterna diatriba tra fascismo e antifascismo. Uno scontro che denota non solo l’eterna incapacità degli Italiani nel fare i conti con la propria Storia, bensì la grande e diffusa ignoranza che riguarda quella stessa Storia.
Della Guerra Civile che insanguinò la nostra terra dalla fine del 1943 all’inizio del 1945, ci si ricorda solo il 25 aprile. Qualche inutile polemica sui social, una manciata di articoli celebrativi sui giornali, i discorsi istituzionali pronunciati nel corso di manifestazioni alle quali non partecipa più nessuno, complice la primavera che si fa largo in una giornata festiva spesso infrasettimanale e che invoglia la gente alla gita fuori porta.
Ma se coloro che si scannano (per carità! solo a colpi di tastiera) sui social avessero voglia di leggersi un libro per approfondire un poco la questione, forse scoprirebbero un mondo che ignorano: per esempio un Fascismo diverso dalle parate in camicia nera e dai discorsi del Duce dal balcone di piazza Venezia. Quel “Fascismo immenso e rosso” che, mal tollerato dallo stesso Regime, ebbe comunque una importanza rilevante.
Ma se per i più può risultare difficoltoso (qualcuno direbbe “noioso”) leggere un libro di storia, consigliamo il non recentissimo ma fondamentale romanzo “Fascista da morire” di Mario Bernardi Guardi (Mauro Pagliai Editore, pp. 200, 13,00€).
Il suo autore è un raffinato intellettuale, giornalista, storico, saggista e narratore attivo fin dagli anni Settanta, periodo in cui testimoniare “certe idee” controcorrente era non solo difficile ma addirittura pericoloso.
Il protagonista del racconto è Mario, un fiorentino che il 10 agosto 1944 – giorno in cui le truppe alleate e partigiani entrarono a Firenze abbandonata dall’esercito tedesco – decide, sia pur fascista, di restare in città. La sua aspirazione è salire sui tetti per sparare sul nemico, per fare la sua parte in quella sporca guerra. Ma Mario ha appena 23 anni, troppo piccolo per la Marcia su Roma. Il suo rapporto con l’ideologia fascista si costruisce alla scuola di Berto Ricci. E Berto Ricci diventa il vero protagonista del romanzo, anche se è morto in battaglia oltre due anni prima.
Prima anarchico e “sovversivo”, poi “fascista eretico” Ricci rappresenta l’anima rivoluzionaria del Fascismo, mal tollerata dai gerarchi ma sopportata da Mussolini che vi vede scorrere quella linfa che lo aveva infiammato ai tempi della sua gioventù.
A Mario si contrappone Romano Bilenchi, anch’egli seguace di Ricci, che però, dopo l’8 settembre, decide di arruolarsi nelle brigate partigiane comuniste. Mario e Romano hanno dunque la stessa formazione culturale, ma hanno fatto scelte diverse. Tuttavia, al di là degli schieramenti che li portano a essere disposti a spararsi l’un l’altro, sanno che la loro è una battaglia che necessita di essere combattuta. Si combattono, certo, ma si vogliono bene perché sono cresciuti insieme e hanno camminato fianco a fianco per buona parte della loro vita. Ed entrambi sanno che, da quella sporca guerra, nessuno dei due uscirà vincitore: Mario sa che la guerra è persa; Romano capisce che anche lui non riuscirà a fare la rivoluzione in cui spera. E lo capisce quando in piazza Santa Maria Novella compare Malaparte in compagnia di un ufficiale canadese che gli impone di interrompere l’esecuzione di un gruppo di cecchini fascisti.
Tutto il racconto è pervaso di una sottile malinconia che trasuda di intensa poesia. Tanto che Gianpaolo Pansa definì “Fascista da morire ”un libro straordinario e disperato”. Definizione sintetica ma quanto mai azzeccata.