A causa della guerra dichiarata dall’amministrazione Trump alla tecnologia cinese, gli studenti americani rischiano di restare senza computer portatili alla ripresa della scuola. Il rischio è dato da una spaccatura globale sulla tecnologia utilizzata da due sistemi rivali come Usa e Cina. La guerra commerciale americana contro la Cina riguarda più la sicurezza nazionale che l’economia. Nel braccio di ferro Usa e Cina c’è la supremazia nel 5G.
Presidi e insegnanti temono che a farne le spese saranno soprattutto gli studenti con minori possibilità economiche. Emblematico il caso del distretto scolastico di Morongo, nel deserto californiano del Mojave, dove tutti gli 8.000 studenti vivono in condizioni di disagio e la maggior parte ha bisogno di computer per le lezioni online e dove l’ordine per 5.000 Chromebook Lenovo fatto a luglio è stato sospeso da un’agenzia governativa a causa di un componente cinese che non è consentito utilizzare in America.
Gli istituti negli Stati Uniti stanno affrontando carenze e lunghi ritardi, fino a diversi mesi, per ottenere laptop e altre attrezzature necessarie per le lezioni online. Secondo un’indagine dell’Associated Press rilanciata dalle principali testate americane, le tre maggiori aziende produttrici di computer del mondo, Lenovo, HP e Dell, hanno dichiarato una carenza di quasi 5 milioni di portatili, in alcuni casi aggravata dalle sanzioni dell’amministrazione Trump sui fornitori cinesi.
I ritardi sono iniziati dopo l’annuncio arrivato dall’amministrazione Trump del 20 luglio e le sanzioni del Dipartimento del Commercio contro 11 società cinesi, tra cui Lenovo, che ha portato alla paralisi delle consegne.
La lotta fra Stati Uniti, Cina e alcuni altri paesi occidentali per chi acquisirà il predominio tecnologico è sempre più evidente e accesa. Qualcuno parla di “digital cold war”, guerra fredda digitale. Non è sicuramente paragonabile alla guerra fredda del secolo scorso, con missili e carri armati, ma è innegabile la crescente aggressività dell’America verso la concorrenza cinese in ambito tecnologico. Dallo scontro aperto fra il Dipartimento di Stato Usa e la multinazionale cinese Huawei che ha come obiettivo principale il controllo dello sviluppo e della gestione delle reti 5G, ai diversi assi portanti della filiera tecnologica: dalla corsa all’intelligenza artificiale al mercato degli smartphone.
Rispetto all’amministrazione Obama il governo di Trump ha intrapreso misure drastiche nei confronti di Huawei. Sono molte le accuse rivolte alla società, dallo spionaggio a una vera e propria minaccia alla sicurezza nazionale. Il Dipartimento del Commercio americano a maggio ha vietato la vendita a soggetti esteri di qualsiasi semi-conduttore realizzato con il know-how di aziende americane, senza il previo benestare del dipartimento stesso.
È del 2015 il piano “Made in China 2025”, con il quale la leadership del Paese traccia la strada per un salto di qualità che porti la Cina a competere in settori a maggiore valore aggiunto e maggiore tasso di innovazione, fra cui l’industria aerospaziale, farmaceutica, quella della robotica, veicoli elettrici ed energie rinnovabile, navi e treni high-tech, con un forte accento sullo sviluppo di ricerca e applicazioni in ambito AI e Internet of things, visti come abilitatori trasversali delle nuove applicazioni. Fra gli obiettivi del piano c’è anche l’”auto sufficienza” cinese in campo tecnologico, con la riduzione della dipendenza da fornitori stranieri per componenti chiave, come appunto i semi-conduttori. Sostenute dalla politica industriale, da finanziamenti massicci e da sovvenzioni di centinaia di miliardi di euro, sia le aziende statali che quelle private mirano a costruire le fondamenta tecnologiche del “China Dream”, una rivitalizzazione della nazione che il Partito Comunista Cinese (PCC) ha promosso vigorosamente sotto la guida di Xi in vista di due importanti centenari. Per il 100esimo anniversario del partito, nel 2021, la Cina mira a diventare una nazione moderatamente prospera, mentre per il 100° anniversario della nascita della Repubblica Popolare Cinese, nel 2049, aspira a diventare una superpotenza nella “manifattura globale”, nel “cyberspace” e nella ”innovazione scientifica e tecnologica”.
Nel 2018 la presa d’atto Usa dei grandi progressi compiuti in poco tempo dai cinesi e dell’esistenza di una strategia di ampio respiro, che va contrastata, in particolare per quanto riguarda il dominio nella tecnologia 5G, che andrà ad innervare la prossima rivoluzione tecnologica. Grazie all’aumento esponenziale della velocità e capacità di trasferimento dati e al minore tempo di latenza, il 5G consentirà di realizzare progressi finora soltanto intravisti: smart city dotate di un ‘cervello’ digitale, auto connesse e senza pilota, operazioni chirurgiche da remoto, gestione ultra-efficiente dei ‘digital twin’, le repliche digitali tramite cui è possibile monitorare e influenzare il comportamento di oggetti fisici (per es. le turbine dei Boeing), cluster di fabbriche connesse fra loro, sono solo alcuni degli scenari che appariranno ex novo o verranno ottimizzati quando il 5G sarà onnipresente.
È solo a maggio che arriva l’inclusione di Huawei e altri produttori in una lista nera (Entity List) di aziende che non possono acquistare hardware o software americano senza l’approvazione del governo Usa. Fra gli effetti collaterali, c’è l’impossibilità per il produttore di smartphone asiatico di offrire le applicazioni di Google, fra cui il Play Store, sui propri dispositivi.
La Cina avvierà così il proprio contrattacco con un piano per i prossimi anni per utilizzare solo tecnologia e software cinese nella pubblica amministrazione e con un’ulteriore accelerazione degli sforzi per rendersi autosufficiente sul piano tecnologico. Sia sul fronte statale che sulle singole aziende.
Il governo di Pechino sponsorizza iniziative di alfabetizzazione digitale. Investe nell’accaparramento di minerali fondamentali per la realizzazione di componenti digitali e tecnologici: dalle batterie al litio al cobalto per gli smartphone.
Una «Guerra digitale» anche sul dominio cinese nel campo delle “terre rare”, diciassette minerali poco noti, concentrati al 70% su suolo cinese e indispensabili per la produzione di apparecchi elettronici: smartphone, computer, tablet, ma anche di turbine eoliche e auto elettriche.
L’80% per cento delle terre rare usate nell’industria statunitense proviene direttamente dalla Cina. Ecco perché il blocco, delle esportazioni di questi minerali potrebbe avere un effetto devastante sull’economia Usa. La Cina è profondamente integrata nel tessuto economico mondiale ma la guerra fredda digitale verrà vinta da chi investirà maggiormente in ricerca e sviluppo e da chi avrà una strategia di lungo periodo.