Il giornalista economico François Lenglet, in un’intervista a Le Figaro prevede un’inversione di marcia su liberalismo e mondializzazione: “La guerra in Ucraina chiude un secolo di dominio americano”.
Il conflitto tra Russia in Ucraina si colloca in un nuovo ciclo economico e geopolitico che sta spingendo a una chiusura delle nazioni dentro i propri confini, oltre una ricollocazione delle produzioni e un aumento dei prezzi, di cui ovviamente l’Europa pagherà il prezzo più alto.
Il saggista francese fa emergere una realtà che è sotto gli occhi di tutti, il conflitto in Ucraina è l’estrema conseguenza del “disimpegno degli Stati Uniti dalle vicende planetarie almeno da tre presidenze”. Il presidente russo Vladimir Putin ha intuito nel “ritiro caotico” degli Usa dall’Afghanistan un segnale, “un permesso di uccidere, senza temere rappresaglie”.
La “debolezza di Joe Biden” – che da subito ha dichiarato che il suo Paese non sarebbe andato a combattere in caso di invasione dell’Ucraina~ è stato quasi un invito per Putin per una guerra calda.
Secondo il giornalista francese la guerra intrapresa dalla Russia “chiude un secolo di dominio degli Stati Uniti, che dalla fine della Prima Guerra mondiale avevano assunto la leadership politica, militare ed economica a scapito dell’impero britannico, fino alla vittoria straordinaria del 1989, con la caduta del muro di Berlino e il crollo del comunismo senza effusione di sangue”.
Le previsioni di Lenglet sono che “imprese e capitali tornino a casa propria, seguendo un trend perfettamente simmetrico a quello avviato negli anni ’90, già in atto dall’inizio della pandemia di Covid-19 con ricollocazioni e spezzettamento delle catene di approvvigionamento mondiali”. L’uscita dalle scene degli Stati Uniti come “padroni del mondo” cambia tutto l’ordine geopolitico con conseguenze dirette sul sistema economico globale, ha anticipato Lenglet. A confermare le tesi del giornalista francese è uno studio del Boston Consulting Group, che afferma che il 37% delle imprese, il cui giro d’affari supera il miliardo di dollari, si accinge a rimpatriare una parte della produzione. Una strategia efficace che negli Stati Uniti, dal 2010, tramite queste politiche di rimpatrio della filiera, ha creato 300mila nuovi posti di lavoro.
Un processo di deglobalizzazione che comporta il ritorno dell’inflazione. Il costo dell’inflazione inevitabilmente ricadrà sugli Stati, obbligati ad adottare ‘scudi tariffari’ per limitare il danno del rincaro dell’energie. Diminuiranno di conseguenza i profitti delle aziende, mentre cittadini e lavoratori vedranno ridursi il loro potere d’acquisto.
Lenglet nelle sue valutazioni sottolinea che “la grande vittima economica è l’Europa, a causa della sua dipendenza energetica nei confronti della Russia”. Tra i Paesi europei, lo shock economico più forte toccherà alla Germania per la sua eccessiva dipendenza energetica da Mosca, con rischi di recessione per la sua industria.
Un nuovo ordine mondiale caratterizzato da una maggiore chiusura nazionale e da restrizioni al commercio. In particolare modo la Germania risentirà pesantemente a causa di scelte drastiche, fatte in passato, dalla Merkel. Scelte passate che hanno visto chiudere con il nucleare per abbracciare un partenariato a lungo termine con i russi per il loro gas.
La Francia, invece è favorita, perché meno dipendente da idrocarburi ed esportazioni. Subirà un minore shock, ma dovrà rendere celere la sua reindustrializzazione e rilanciare il suo programma nucleare.