Come si sceglie un ristorante? Davvero sulla base dei voti delle infinite ed inutili guide che, alla fine di ogni anno, vengono messe in commercio con la speranza che gli chef premiati facciano pubblicità e contribuiscano alle vendite? Davvero le persone normali che vogliono trascorrere una bella serata mangiando bene e possibilmente in buona compagnia si fanno convincere da guide con recensioni che rappresentano solo lo sfogo onanistico di chi le ha scritte?
Davvero il ristorante La Limonaia di Torino, in via Ponzio 10, se ne fa qualcosa dall’essere indicato come uno dei 5 migliori locali della città da un’altra delle guide superflue? In una città come Torino la miglior guida è il passaparola. È il consiglio degli amici, dei colleghi, dei parenti. Non quello delle guide ufficiali e tantomeno quello delle recensioni sugli appositi siti dove chiunque scrive per sentirsi un grande critico anche se non distingue una sogliola da un’anguilla, una costata da un bollito.
Dunque se La Limonaia è considerato un ristorante dove val la pena di trascorrere una serata a tavola è per ciò che viene servito nei piatti e nei bicchieri. Non per l’arredamento che farà anche impazzire il single quarantenne fissato con la ricerca di mobili particolari. Ma per gli abbinamenti insoliti, coraggiosi ed azzeccati che Cesare Grandi propone ad ogni portata. Accompagnati dai vini consigliati, in sala, da Eleonora Luppino.
Anguilla con pan brioche alle alghe, rabarbaro e scarola? O sarda affumicata con il cuore di vitella, salsa bernese e garum di acciughe? Gnocchi alla parigina con lumache e ruta o pane indiano con pasta di anacardi e pecora, stracchino di capra e peperoncino fermentato? Una cucina che parte da materie prime italiane e spazia attraverso l’Europa. Con riferimenti francesi e della “quarta sponda” del Mediterraneo. Piatti sperimentati, provati e riprovati prima di essere messi in carta. Piatti con anche un’architettura scenica. Perché anche l’occhio vuole la sua parte e se il cibo è cultura, come ribadiscono alla Limonaia, anche il gioco fa parte della cultura. Così le olive non sono olive e l’uovo, tra i dolci, non è un uovo. E la sorpresa deve divertire il cliente, non lo chef come accade troppo spesso nei ristoranti più celebrati da una critica che fa parte della solita compagnia di giro.
Anche la collocazione della Limonaia è estremamente particolare. Non nell’immancabile Quadrilatero, non nelle zone della movida, nei quartieri della Ztl dove gozzoviglia il tout Turin radical chic. Ma in un cortile di una zona semiperiferica. Un cortile trasformato in un giardino quasi parigino, che isola dai rumori della città e crea un’oasi di serenità. Forse un modello realizzato del tanto millantato incontro tra centro e periferia. Un modello di reale successo al di fuori delle mete scontate e venerate.