Vi è un posto, un locale dove ogni tanto mi fermo. È una enoteca che fa, anche, qualcosa da mangiare. Pochi piatti. Una scelta limitata. Tre primi. Due, tre secondi. Non ha un vero menù. Però i piatti non sono mai gli stessi. Ogni giorno c’è la sorpresa. E questo…mi piace. Perché i piatti sono…estrosi. Non le solite robe per turisti. E il locale ha qualcosa…della locanda del passato.
Questo anche per via della padrona. Che è una vera e propria Locandiera. Una Mirandolina balzata fuori dalla scena goldoniana. Rivestita in abiti moderni, coi capelli biondi…ma indiscutibilmente lei. La stessa vitalità. Lo stesso senso dell’umorismo. La stessa malizia negli occhi….
S. il mio amico, dice che sì, lì si mangia davvero bene, e e prezzi sono più che onesti…ma la vera attrattiva è lei. La locandiera. E, in effetti, il plateatico con sei tavoli, e il bancone, sono spesso affollati di uomini. Per lo più non giovani. Bevono un bicchiere, mangiano talvolta qualcosa. E guardano lei. La locandiera.
Che ne è perfettamente consapevole. E, ovviamente, civetta. Con tutti. Ma senza volgarità alcuna. E, credetemi, non è mai facile. Tanto più in un piccolo ritrovo della periferia romana.
Per questo, appunto, mi fa pensare alla Mirandolina di Goldoni….oddio, a dire il vero è stato proprio S. a richiamare alla mia attenzione questo…archetipo.
Già, perché la Locandiera del genio della Commedia, non è solo uno straordinario, personaggio femminile. Che tutte le più grandi attrici hanno interpretato. O sognato di interpretare sulla scena.
È, soprattutto, un tipo femminile eterno. Un carattere archetipico, appunto.
Incarna la femminilità nei suoi aspetti più seduttevi. Senza che questo divenga mai qualcosa di greve. Di ambiguo. O peggio…
Goldoni è stato unico nel saper cogliere i caratteri delle Donne dalla vita. Portandoli sulla scena. Che con lui diventa davvero il Gran Teatro del Mondo perseguito come obiettivo dagli autori post elisabettiani. Barocchi. Come Afra Benn, che, appunto, usa tale espressione come titolo.
Mirandolina, la Vedova Scaltra, la Serva padrona…sono figure che il drammaturgo coglie nella vita. E fa incarnare sulla scena. Nei personaggi. Un atto magico. Di cui ben pochi sono stati consapevoli. E che solo Pirandello, poi, ha saputo spiegare.
Con la Locandiera, Goldoni affronta un tema, o meglio un aspetto della Donna e del suo modo di essere, estremamente arduo. E scabroso. Anche se lo fa con tocco leggero. Ed eleganza raffinata.
La seduzione. O meglio, la seduzione femminile. Che è cosa ben diversa da quella maschile. Che si configura come, caccia, assedio, conquista… Le metafore usate da Ovidio nella sua Ars Amatoria.
La Seduttrice non agisce in questo modo. E le donne che lo fanno non sono che la brutta copia, la versione triste, della loro controparte maschile. E ne “Le relazioni pericolose” di Cholderos de Laclos questo emerge con lucida, e spietata, chiarezza.
La seduzione di Mirandolina è tutt’altra cosa. È fatta di sguardi, sorrisi, toni di voce. Ha la levità di un minuetto. Un gioco elegante e divertito. Il tessuto di una tela di ragno, che ha l’eleganza ariosa di un merletto di Burano.
È un atteggiamento dell’animo femminile che si va, sempre più perdendo. Soffocato, prima, dal Romanticismo. Con la sua visione tragica della passione d’amore. Poi dalla volgarità contemporanea. Dalla pretesa di una parità di genere, con la quale si crede di rendere giustizia alla donna per secoli di, vera o presunta, subalternità al maschio. E in realtà le si porta la più grande offesa. Cercando di costringere la sua natura femminile, nei modelli che sono prettamente maschili.
E spesso mi domando perché tante donne intelligenti non si rendano conto come questa sia, di fatto, una nuova forma di abuso. La peggiore. Perché le vuole costringere ad esser uomini. Maschi.
Oddio, lo so bene che questo mi attirerà gli strali delle Amazzoni del politicamente corretto e dei loro, interessati, scuderi. Ma sinceramente… chissenefrega.
Nella mia vita ho avuto la fortuna di incontrare, o per lo meno vedere qualche Mirandolina. Che, ovviamente, non faceva necessariamente la locandiera.
Ho potuto cogliere quei giochi di sguardi. Sentire risuonare quelle risate improvvise. Osservare il movimento delle mani, la gestualità. Era, ogni volta, come venire trasportato en un’altra dimensione. In un altro secolo. Più leggero, più elegante. Quel settecento immaginario che il giovanissimo, e sfortunato, Silvio D’Arzo ha descritto in un capolavoro dimenticato. Come tanti, troppi piccoli capolavori. “All’insegna del buon corsiero”. E su questo non aggiungo altro. Leggetelo.
Ma le mie divagazioni hanno fine. La nostra Locandiera di periferia romana, mi ha messo davanti un piatto di tonnarelli cozze e pecorino.
Ovviamente, con un incantevole, e ironico, sorriso.