Torna l’ora solare. Per l’ultima volta, dicono… Chi lo dica, poi, non so… dicunt, ferunt, tradunt… I soliti bene informati del web… e, a ben vedere, non mi interessa. Quello che conta è che, da tempo, si sta pensando di lasciare l’ora legale fissa per tutto l’anno…
Che c’ è di male? diranno in molti. Che cambia? Anzi, sotto un certo punto di vista si eviterebbe due volte quella sorta di, fastidioso, mini jetleg…
Però… però… però… Ci sarà pure una ragione per cui, da millenni, gli uomini hanno calcolato il tempo sulla base del corso naturale del Sole. Prima con le Meridiane. Poi, riproducendo queste, con maggior precisione tecnica, nei “cipolloni” dei nostri nonni. E avanti di questo passo… Perché solo in tempi recenti gli orologi non sono più stati fatti a forma del Sole. E sono diventati digitali, ovvero una sequenza di numeri astratti da qualsivoglia contesto spaziale.
E sta appunto qui il nocciolo del problema. Nell’astrazione. Ovvero nel progressivo alienarsi dell’uomo dalla natura. Del quale l’ora legale mi sembra perfetto simbolo. Perché deriva da una pura decisione burocratica. E non vi è nulla di più astratto della burocrazia e del suo linguaggio. Cosa di cui, oggi, abbiamo continui esempi che travalicano il confine del comico. E giungono all’assurdo. Come la recente circolare del Ministero della pubblica istruzione che recita letteralmente: Lo studente che abbia la febbre, e non sappia di averla, non deve recarsi a scuola…
Fa ridere certo. E tuttavia è la riprova di come un linguaggio astratto dalla realtà delle cose declini verso la più totale insensatezza.
Ma torniamo al Sole. E allo scorrere delle ore. Astrarre le une dal corso dell’altro implica un alienazione ulteriore dalla natura. Il perdere il senso naturale, biologico del tempo.
Lo sperimentarono durante la Rivoluzione Francese. Quando, volendo imporre l’utopia rivoluzionaria, e annientare ogni cascame delle antiche tradizioni, si modificò il calendario. E persino la settimana fu abolita, e sostituita con decadi. Non funzionò. I primi ad accorgersene furono i contadini. Perché gli animali e le piante continuavano a rispondere ai ritmi della natura. Non a quelli imposti, con atto legislativo, dal governo giacobino.
Dice la Bibbia che Adamo ebbe da Dio il compito di dare nome a piante, animali, cose…assegnando, quindi, all’uomo un primato sulla natura. Ma il primato si esercita conoscendo ciò che si deve governare. Non alienandosi totalmente.
Nel Rinascimento, Marsilio Ficino teorizzò che l’uomo era addirittura superiore agli angeli. Perché poteva contemplare Dio, e, al contempo, scoprire i segreti della natura. E, quindi, governarla.
Il mentore di Lorenzo di Medici, dava così voce allo spirito di un’epoca straordinaria. E, purtroppo, irripetibile. Epoca in cui arte, scienza e magia ancora non erano state separate, con barriere costruite da astratti pregiudizi intellettuali. E in cui, per fare un esempio, Giulio Caccini poteva comporre quei piccoli gioielli che sono i suoi madrigali “I giardini”, proprio perché si dedicava anche all’arte non facile, del giardinaggio. Arte di disegnare giardini, e far crescere piante e fiori disponendoli come motivi di una partitura musicale. E, al contempo, trarre dalla natura l’ispirazione che si faceva musica…
L’apice della nostra civiltà è stato rappresentato proprio dalla capacità di simbiosi tra le facoltà dell’uomo e la natura. Ma la progressiva tendenza dell’intelletto ad astrarsi dalla percezione ha comportato una crescente alienazione dalla vita. A concepire solo il cadavere delle cose.
Viviamo in città astratte. E di straordinaria bruttezza. Chiamiamo musica dissonanze stridenti e ossessive. Non siamo più capaci di udire il canto degli uccelli, come i musici di un tempo . Di trarre ispirazione da boschi e rocce per edificare le nostre dimore e i nostri templi. Le Cattedrali gotiche, i capolavori architettonici di Alberti e del Palladio…
Non siamo più coscienti che il tempo che scorre è scandito dal Sole. E dal suo alternarsi con la Luna.
Esistiamo, certo. Ma ci trasciniamo come spettri terrorizzati da virus e contagi. Temiamo ciò che, in fondo, altro non è che natura.
Esistiamo, dicevo. Ma siamo ormai astratti dalla vita. Astrazioni noi stessi.