Ho sempre amato gli Atlanti. Sin da bambino sono stato attratto dalle carte geografiche. E ancora oggi, che certo bambino non sono più da moltissimo tempo, li sfoglio sempre con uun interesse che sfiora la passione.
Lo so, una anomalia, in un paese dove l’ignoranza della geografia elementare è divenuta, nei decenni, tanto eclatante e crassa da renderci ridicoli agli occhi del mondo intero. Senza che ce ne rendiamo conto, purtroppo. Perché quando un Ministro degli Esteri definisce la Russia “paese che si affaccia sul Mediterraneo”, o un Sottosegretario (sempre agli Esteri, sic!) scrive che Beirut è la capitale della Libia, ad avere un soprassalto siamo restati, purtroppo, ben pochi. E per lo più avanti negli anni.
Comunque, gli Atlanti. Con il disegno di mari, oceani, montagne, fiumi, pianure… Strumenti per conoscere i limiti, per definire lo spazio, certo. Ma, al contempo, utili per sognare. Per fantasticare ad occhi aperti.
E qui, ovviamente, torna fuori l’Ariosto. Ovviamente perché come è noto e come già ho avuto occasione di dire, a chi gli chiedeva perché fosse così restio a uscire dalla sua Ferrara e viaggiare per vedere il mondo, Messer Lodovico rispondeva che gli bastavano mappe, mappamondi e atlanti. Non aveva necessità di muoversi fisicamente. L’immaginazione, la sua possente fantasia, gli era bastante.
Anche perché – questa, però, è chiosa mia – la fantasia gli permetteva di scoprire e visitare terre e popoli che mai e poi mai avrebbe potuto altrimenti raggiungere. E la prova di questo è nel viaggio di Astolfo verso la Luna. A cavallo dell’Ippogrifo.
E la sua Luna non è l’arida distesa di rocce su cui scenderà, fisicamente, secoli dopo Armstrong. È un luogo meraviglioso. Magico. Ove si giunge in volo… dopo aver osato sfidare l’inferno stesso.
Leggendo quel Canto, mi sono sempre chiesto come sia giunto il poeta a concepirlo. Prima ancora che a scriverlo… Certo, i riferimenti culturali, le citazioni, i prestiti sono moltissimi. Dante, su tutti. E poi Luciano, il Viaggio Straordinario. E le novelle arabe, come nota Borges.
“Chissà se dalla Persia o dal Parnaso venne quel sogno di un destriero alato…”
Ma le citazioni non bastano. Non basta la cultura per volare sull’Ippogrifo. Ariosto ha potuto farlo – nelle armi di Astolfo – perché aveva imparato a sognare sulle carte geografiche. Sugli atlanti. A conoscere terre e mari. Ed i loro limiti. E ad ipotizzare nella mente, altre terre ed altri mari. Sconosciuti e, ordinariamente, Irraggiungibili…
Perché è la coscienza del Limes, dei limiti che ti permette di concepire ciò che è al di là. Ciò che a quei limiti sfugge.
Guardare un Atlante non significa solo studiare la geografia reale. La mappa di questo mondo sempre più piccolo. E angusto.
Rappresenta, invece, la possibilità di dilatarla all’infinito quella mappa. Includendovi Atlantide e l’isola che non c’è, Utopia e il Giardino delle Esperidi. Il Paradiso Terrestre è l’inferno…
Per farlo, però, bisogna imparare a cavalcare l’ippogrifo. E non è cosa facile.