Nelle mie ossessioni estetiche personali, Salvador Dalì ha un posto di primo piano. Forse perché, sin da quando ho memoria, mi colpirono quei suoi strani baffi, lunghissimi, ricurvi e impomatati, che gli davano un aspetto estraneo. Non un uomo, ma una specie di folletto, balzato fuori da qualche fiaba perduta. O da un cartone animato surrealista…
Poi vennero, naturalmente, i suoi quadri. Quegli orologi che si liquefanno, il tempo perduto che scivola via, come una pioggia di lacrime… Quel crocifisso contorto. Pochi colpi di pennello, un gioco tra i toni del nero, e la luce con sfumature oro /vermiglie a disegnare in modo ipersealistico il corpo di uno strano Cristo, forse neppure lui, di cui ci viene negato il volto…
E quell’incubo soffuso di intensa luce, quel nudo di Donna perfetto nel sonno, quella puntura di vespa, o ape, che si fa tigri in volo…
Ma soprattutto, nel ricordo, è intensa la tela sulla Stazione di Perpignan. Ché torna, ciclicamente, ad inquietarmi. Perché in quella tela è dipinto un Mistero. E una risposta. Alla ricerca di Utopia. Dell’isola irraggiungibile all’orizzonte.
Dalì lo racconta nei suoi scritti. Dimenticati, ma che andrebbero riscoperti. “L’Arcangelico scientifico”, soprattutto. Gioielli della prosa surrealista, sospesi tra il diario e il saggio teorico. E la poesia.
Comunque, ne “Il diario di un Genio” ( sempre modesto il nostro) racconta una storia. Si trovava alla Stazione di Perpignan. Uno snodo ferroviario tra Francia e Spagna. O meglio tra Parigi, la patria d’elezione, e la sua Catalogna.. È, o meglio era una piccola stazione quella di Perpignan. Non diversa dalle altre sparse per i Pirenei. Ma quel giorno, un 19 settembre – di che anno sinceramente non ricordo – Dalì ebbe l’intuizione, o meglio l’esatta percezione che lì, proprio lì in quella stazioncina, vi era il Centro del Mondo. E lo vide, quel Centro, irradiare in fasci di luce che scomponevano le forme, e si diffondevano all’infinito. Un Cristo, ancora uno strano, anomalo Christo. E la presenza del fratello, morto prima che lui nascesse. E figure enigmatiche. Contadini, dicono. Ma era un contadino anche Triptolemo. L’eroe dei Misteri di Eleusi…
Certo, Dalì conosceva la teoria di Renè Thom, l’eccentrico filosofo e matematico che ha dato un contributo essenziale alla Teoria delle Catastrofi. E che ha sostenuto che proprio la Stazione di Perpignan è costruita su uno snodo delle placche tettoniche. E tiene unita la Spagna all’Europa. Senza Perpignan, disse Dalì, saremmo diventati un’isola alla deriva. E forse ci troveremmo in Australia. Circondati dai canguri…
Il gusto, surreale, del paradosso. Che però maschera una concezione più profonda.
Perché il luogo perfetto, il Paradiso in Terra, non è in un altrove remoto. Inutile inseguirlo oltre immensi Oceani. O nelle profondità insondabili dello spazio.
È, invece, qui ed ora. Dalì ci ha lasciato, a questo proposito, un’altra, straordinaria, definizione. Sulla differenza fra classico e romantico.
Romantico, scrive, è colui che, ovunque si trovi vorrebbe essere altrove. Perché altrove concepisce la perfezione, la bellezza. La felicità. Che perennemente gli sfuggono.
Classico è colui che, ovunque stia non vorrebbe essere in nessun altro luogo. Perché lì trova bellezza e felicità. È appagato.
Perpignan è un buco tra i Pirenei. La Stazione un edificio come tanti altri. Un vecchio treno che si prepara a partire… Eppure per l’artista è il luogo perfetto. Perché lui si trova lì. E ciò che conta è la sua capacità di percezione. Che va oltre le parvenze. E diviene esperienza del Cosmo.
Il Paradiso Terrestre. E Adamo prima della caduta.