L’utopia è il portato della Civiltà. Il suo portato estremo, oserei dire. Il prodotto del raffinamento di questa sino al suo esaurimento. Al suo essere vuota di slanci. Di energie vitali. Quelle che evocano il mutamento. Lo provocano. Ne traggono forza.
L’utopia è la negazione di tutto questo. È un’immagine statica. Qualcosa che non muta. Un punto d’arrivo oltre al quale è impossibile anche solo sognare di spingersi. È la vera Fine della Storia. Che trova, ogni tanto, un Panglosse o un Fukuyama che la teorizza. E ne tesse le lodi.
La Città dell’Utopia non è solo un non luogo. È dove nulla avviene. Perché nulla diviene. E tutto resta sempre uguale, in quanto il tempo ha cessato di scorrere. Tutto è compiuto , come nella follia dell’Enrico IV pirandelliano.
È il punto d’arrivo cui tende la Civilizzazione. Nessun mutamento significa nessuna inquietudine. Nessuna paura. Ma, per converso, anche nessuna vita autentica. Solo la sua parvenza.
La natura umana, però, non è quella del “civilizzato”. È quella del barbaro. Come scrive Howard nel suo Conan.
La barbarie è la Kultur originaria. Il bosco e la steppa, dai quali l’uomo civilizzato si è andato progressivamente alienando. Perdendo però in forza vitale e in vigore creativi. Così Tacito poteva vedere nei “primitivi” Germani ciò che i Romani stessi erano stati in tempi remoti. E presagire il crollo dell’impero.
Le Città della Marina, raffinate, colte, civili, sono destinate a cadere davanti al Forestaro e alle sue orde. I Cavalieri Mauretani, l’ultimo Ordine tradizionale, possono rallentare la caduta. Non evitarla. Sono il Katechon. Non il Salvatore. Come lo erano i monaci irlandesi che serbarono nei loro scriptoria il tesoro della cultura classica. Sovente cingendo la spada. Come Colomba il Vecchio.
Finché l’utopia resta un ideale remoto, un sogno e un modello che si sa impossibile raggiungere, la Civiltà non è ancora esaurita. Ha ancora stimoli. Obiettivi. Un Fine. Ma quando si pretende che la società utopica si realizzi qui e ora, tutto è finito. Uno vale uno. Un’uguaglianza non di diritti e doveri, bensì assoluta. Che annichilisce ogni differenza. Il voler eliminare ogni causa di inquietudine. Di incertezza. Anche quella estrema. L’inquietudine di fronte al pensiero della nostra morte. Che si vuole negare. Ottenendo, per paradosso, solo di diffondere la paura. Che diventa la grande livella, per rubare le parole al Principe De Curtis . Quella che rende tutti uguali, perché tutti, parimenti, incapaci di vivere . Incapaci di agire e di creare.
È inevitabile che tutto crolli. Che arrivino i barbari
Sperando che non avesse ragione Kavafis
“… È scesa la notte e i Barbari non arrivano. / e gente è venuta dalle frontiere dicendo che non ci sono più Barbari. /E ora che sarà di noi senza Barbari? /Quelle genti erano comunque una soluzione.”