“Scusi prof.” Sì, sono di nuovo in classe. Anche se è mezza vuota. Dieci studenti soltanto. E con le mascherine. Gli altri seguono da casa, via computer. Protocolli Covid, dicono. L’unica cosa che conta ormai.
E infatti non conta che la connessione cada ogni cinque minuti. Che l’audio funzioni male. Che gli strumenti a disposizione siano inadeguati… Non conta che io insegni e che loro apprendano qualcosa…
“Scusi prof.” La brunetta vivace. È sempre lei. Gli occhi ridono. E ammiccano. Questo, almeno, non è cambiato. “Ma questi Utopisti sono tutti uguali? Cioè… le loro isole, o città sono la stessa cosa?”
Domanda pertinente, come si suol dire. Sto spiegando la differenza fra i realisti e gli utopisti. Il passaggio, critico, tra ‘500 e’ 600. Dal Rinascimento al Barocco.
No. Non sono tutti uguali. Anche se tutti disegnano dei progetti di società perfetta. E anche se tutti prendono le mosse dalla Repubblica di Platone…
“Nooo! Platone noooo… Mo’ se ricomincia con la pippa che Platone e Aristotele se so’ inventati tutto…” il Boro. Anche lui non è cambiato. Mi viene quasi da sorridere. E non mi capita spesso di questi tempi.
Mi spiace per te, ma è inevitabile. (Il Boro, fra le risate generali, fa il gesto di tagliarsi le vene con un righello, ridono anche quelli collegati online. Senza sapere perché. Ma forse immaginano la scena…). Perché la Repubblica, governata dai filosofi, con una rigida divisione in caste, ruoli ben precisi, è il modello di tutti gli scrittori utopisti…
“Raga ma ve lo pesate il***(fa il nome del mio collega di filosofia) che governa? Quello manco sa se si è messo le scarpe a rovescio… C’ha sempre la testa per aria… ” ridono tutti. E viene da ridere anche a me, pensando al personaggio… lo so, non è molto professionale , ma…
Comunque, è da lì che parte tutto. Gli utopisti come Moro, Campanella, Bacone declinano, però, in modi diversi lo stesso tema. Ad esempio in Utopia di Moro a governare è un principe illuminato, affiancato, però, da una sorta di Parlamento. E di fatto quella che viene disegnata è una “democrazia perfetta”. Corretta dei difetti che l’autore, che era anche un uomo politico, riscontrava nell’Inghilterra del suo tempo.
Per Bacone, invece, nella Nuova Atlantide al governo vi è la scienza e chi la pratica. Mentre il nostro Campanella pone al Governo un Principe paragonato al sole, affiancato da tre, beh diciamo ministri che si occupano dei tre ambiti della vita umana : la conoscenza, la pace e la guerra, e l’amore…
“Anche dell’amore, prof.?” gli occhi della brunetta sono dilatati per la sorpresa. “E che fa sto’ ministro dell’amore?”
Beh si occupa delle relazioni fra uomini e donne, della procreazione, dell’educazione dei bambini. Perché nella Città del Sole tutto, proprio tutto è regolato e controllato dallo Stato…
“Anche i sentimenti?” la voce della biondina, in genere silenziosa, è tra il sorpreso e l’indignato.
“Anche er sesso, prof.? Te dice er Ministro se puoi sc…?” ovviamente il Boro.. E ovviamente risata generale.
Eppure, sono domande pertinenti entrambe.
Vedete, nella Città perfetta non c’è posto per i sentimenti individuali. Perché questi potrebbero essere causa di dissapori, rivalità. Potrebbero turbare l’ordine. Che deve essere intangibile. I figli sono considerati proprietà collettiva. E così le donne…
“Come in Platone….” eh sì qualcuno che si ricorda qualcosa c’è sempre.
Vero. Ma in Campanella questo elemento è molto più marcato. Così come è marcata negli utopisti l’eliminazione della proprietà privata… Tutto è in comune…
“Raga! Questi erano comunisti…”
“Zecche”, mormora un coatto in giubbotto di pelle.
In un certo qual modo sì. Ma non è un discorso economico. Piuttosto la convinzione che eliminando ogni proprietà, si potrebbero eliminare i conflitti. Che nascono da gelosie e invidie… Insomma tutti possiedono tutto. E nessuno possiede alcunché.
La società perfetta. Dove ognuno assolve al suo ruolo. E non desidera altro. Non cerca di cambiare.
Si fa silenzio. Poi…
“Sì, ma non c’è spazio per l’amore – la biondina dà uno sguardo triste, sopra la mascherina – Che vita sarebbe?”
“A prof. me sembra che ste città del Sole sono una sola…” il Boro. Tutti ridono, ma vi è qualcosa di strano in queste risate. Un certo nervosismo.
“Lì te tocca solo di lavora’ e de fa’ come dicono sti capi… Niente divertirse, niente amici niente movida… manco’ tromba’ puoi come te pare…”
Guardo il Boro. È riuscito di nuovo a sorprendermi.
Sì. Nelle utopie veniamo ridotti a formiche. Non siamo più individui. Siamo costretti a seguire regole rigide. E gli stessi rapporti umani vengono determinati per legge.
Ora il silenzio è assoluto. Pesante.
Suona la campanella. Respiro profondo. Indosso la mascherina. Ed esco.