Leggo di un eccentrico gentiluomo che, giorni fa, è entrato a Versailles e ha, tranquillamente, annunciato di essere tornato a prendere possesso della sua dimora. Perché lui è Luigi XIV. Il Re Sole.
Come sia andata a finire non lo so, ma posso pensare che, dopo un momento di stupore, i custodi della Reggia abbiano accompagnato il sovrano, per altro pacato e sereno, ad un presidio sanitario. E che ora si trovi lì, affidato ad abili e comprensivi psichiatri. Magari intento a conversare con Carlo Magno e quel parvenu del Bonaparte…
Storie di follia d’altri tempi. Che mi fanno anche un po’ di tenerezza. E mi inducono a pensare come, una volta, anche per esser matti ci volesse una certa cultura storica e letteraria. Mentre, oggi, anche l’andare fuori di melone si è involgarito e massificato. Ed anzi è divenuto tanto comune e diffuso da far sì che, ormai, gli strani siano diventati quelli che hanno mantenuto un minimo di equilibrio e raziocinio. Che non credono a tutte le fanfaluche propagandate dai Media. Che si ostinano a far domande scomode… ma qui mi fermo, altrimenti rischio di passare per un pericoloso negazionista, untore, ostile all’uso della, amata e preziosa, mascherina.
Ma torniamo al nostro Luigi XIV. La sua, come dicevo, è follia di vecchio conio. Elegante e, in fondo, filosofica. Come quella dell’Enrico IV pirandelliano. Adombra la Nostalgia di un passato, immaginario, esteticamente migliore di questo presente. Di un mondo di certezze, sicurezze, punti di riferimento, del quale la figura del Re è il simbolo e il perno.
Nostalgia che non è, poi, cosa del tutto nuova. La letteratura registra infatti molte rivisitazioni del tema. La letteratura recente, intendo, ovvero quella di un’epoca, la nostra, in cui la figura del Re è stata politicamente cancellata. O, nella migliore delle ipotesi, trasformata in un fenomeno folcklorico, buono per incentivare il turismo e per i pettegolezzi da rotocalco. Altra cosa, naturalmente, era poco più di un secolo fa. Quando il dualismo monarchia /repubblica accendeva ancora passioni, suscitava entusiasmi, scatenava conflitti… Barbey D’Aurevilly vi ha dato voce nei suoi, foschi, romanzi sulla Vandea. In particolare ne “La stregata”.
Oggi, però, tramontati i sogni dei legittimisti, il tema del ritorno del Re viene rivisitato in ben altra chiave. E questo è stato fatto da molti. Su tutti quel piccolo gioiello permeato di acre umorismo che è “Il breve regno di Pipino IV” di John Steinbeck . Ma mi piace anche ricordare il più malinconico “Sarò re domani” di Roberto Pazzi.
Comunque una chiave che apre non le porte delle ideologie o delle aspettative politiche, bensì quella, più stretta e perigliosa del sogno anacronistico.
Perché vagheggiare il ritorno di un Re, implica il pensare ad una società, o meglio ad una comunità nazionale coesa intorno ad un simbolo vivente. Non, per carità, una società perfetta, organizzata come un meccanismo di precisione. Piuttosto una summa di tradizioni e costumi, quello che i latini chiamavano Mores, una trasmissione di virtù di generazioni in generazione. Anacronismo macroscopico, certo, in un’epoca di valori effimeri e sempre discussi e ricontrattati. E proprio per questo, un sogno. Un sogno estetico, di bellezza, oltre che morale.
Penso all’ipotetico, autoproclamato, Luigi XIV… a quel simpatico matto. Chissà, forse, come Re Sole sarebbe più saggio, ed onesto, di tanti governanti attuali. Di tanti tirannelli che si mascherano dietro alla fasulla retorica democratica…