Esco con mio figlio a tirare due calci al pallone. Non che ne abbia gran voglia, intendiamoci… ma è piovuto per tutta la mattina e il giorno precedente. E anche lui ha, indubbiamente, le sue ragioni…
Di andare al parco non se ne parla. Ci sarà fango dappertutto. E poi con l’ordinanza di Zingaretti sulle mascherine all’aperto… già, Zingaretti, proprio lui… Proprio quello degli aperitivi ammassati ai navigli e dell’abbraccia un cinese… e ora con sette morti l’altro ieri in tutto il Lazio. E il più giovane mi sembra avesse 91 anni…
Che c’entra dirà qualche benpensante. I morti sono comunque morti, e tutti hanno diritto a vivere… Se la pensate così, lasciate perdere. Andate a protestare con Dio o con la Natura, e continuate a credere a Burioni, Crisanti, Capua e al resto del Circo illusionistico del Covid 19… Se siete miei corrispondenti su fb, per favore, bannatemi. Mi risparmierete la fatica
Comunque esco con mio figlio. Siamo in un ampio spazio interno al nostro comprensorio. Saranno più o meno le una. Non urliamo. Non tiriamo pallonate contro i cancelli. Ci limitiamo a un paio di palleggi. E subito :
“A quest’ora la gente dorme. Andate a casa vostra. E siete senza mascherine…”
Non lo vedo. Deve essere appostato dietro una persiana. Di una casa abbastanza lontana.
Non vedo chi sia. Ma la voce è vecchia. Acida e incartapecorita.
Non voglio storie. Dico a mio figlio, “rientriamo”. Lui mi segue mogio mogio. Poi, a casa
” Papà, il Covid ne ha ammazzati pochi.”
Lo guardo. Neppure tanto stranito. Non è la prima volta, in questi giorni, che sento discorsi simili. Magari più sfumati. Ma simili. Dai ragazzi sul bus. Dai miei studenti. Una rabbia, una frustrazione generazionale che cova sotto la cenere. E che le mascherine della paura tengono a freno. Per ora…
Mi viene in mente William Golding. Era un insegnante, come me. Ed osservava con attenzione i giovani. Un pedagogo, di impronta steineriana. E proprio da questo suo osservare i comportamenti dei suoi allievi, divisi in gruppi, nacque quello straordinario incubo che è “Il signore delle mosche”.
Un gruppo di ragazzi, su un’isola deserta. Soli. Si spaccano in due fazioni. Una che cerca di costruire una civiltà. L’altra che insegue il mito primitivo della forza. E pratica riti arcaici e arcani per propiziare le battute di caccia. Ci scappa anche il morto, prima che una nave, e degli adulti vengano a salvarli. E a riportarli all’ordine.
I ragazzi sono feroci. Per natura. E la loro ferocia è, in certo qual modo, innocente. Sinite pueros…
Un’innocenza che potrebbe, lasciata a se stessa, portare alla barbarie. Perché innocente è il barbaro. Non l’uomo civile. O, in questo caso, l’adulto.
Nella fanciullezza sono presenti forze primordiali. Atavismi, forse. Memorie ancestrali. Anche Stephen King ha costruito su questo il suo “Il grano rosso sangue”. Con quel tocco di inquietante orrore di fronte ai comportamenti umani che lo caratterizza.
Un mondo di giovani sarebbe spietato. Certo. Ma anche pieno di energia. Di vita. Perché è la vita ad essere spietata. E sarebbe un mondo estremamente creativo. Una creatività che si esprime in forma rituale. E che cela un profondo senso per il Mistero. Con il quale i giovani, i bambini soprattutto, sono legati da fili invisibili.
Ai vecchi, agli adulti spetterebbe il ruolo della memoria. E della trasmissione di modelli di virtù e di conoscenze. Della Tradizione, insomma. Ma se i vecchi pensano solo a sopravvivere chiusi nel loro egoismo e nelle loro paure…
Cerco di spiegare a mio figlio che certe cose non solo non si devono dire. Ma neppure pensare. Mi ascolta. Poi
“Perché?” domanda secca. La stessa che in classe mi pongono gli occhi dei miei studenti.
Non so rispondere.