Lo confesso. Ho un debole per le cause perse. Da sempre. Fin da che ho memoria, mi sono sempre schierato dalla parte dei perdenti. Degli sconfitti. Quindi dalla parte sbagliata della Storia. Me ne sono spesso fatto (quasi) un vanto. Una ragione di orgoglio.
È argomento di cui già ho parlato, o meglio con il quale ho già avuto occasione di tediare i miei, ipotetici, lettori. Tuttavia, al di là di una mia naturale propensione per gli sconfitti – unica eccezione, sono tifoso della Juve come l’amico Bartolo – trovo che la Sconfitta, o meglio le famose, famigerate “cause perse” abbiano molto a che vedere con… l’utopia. E soprattutto con la Mappa per raggiungere l’isola di Utopia, che è la ragione di questi articoletti.
“La nobiltà della sconfitta” un libro di Ian Morris, uno dei pochi occidentali capaci davvero di comprendere il Giappone. E la sua anima. Un libro che, moltissimi anni fa, mi affascinò come ben pochi altri. Allora non mi chiesi le ragioni del perché mi colpiva tanto la storia dei 47 Ronin. Così come da bambino non mi chiedevo perché, d’istinto, parteggiavo per le giubbe grige del generale Lee, e non per gli yankee vestiti di blu.
È tuttavia una domanda che poi, nel tempo, mi sono posto. E alla quale, certo, mi sarei potuto dare la (facile) risposta di attribuirmi un’indole romantica. E, a onor del vero, alquanto reazionaria.
Tuttavia elucubrandoci un po’ sopra, sono giunto ad un’altra conclusione. La simpatia per le cause perse, per i grandi sconfitti della storia non è, in fondo, altro che un modo di fare rotta verso l’isola di Utopia. Un modo inconsueto, lo ammetto. Tuttavia cosa può esserci di “consueto” nella ricerca di un luogo che non c’è, che si profila all’orizzonte, ma quando ti avvicini, svanisce nella lontananza?
In questo caso la ricerca di Utopia si svolge nel tempo, e non nello spazio. Perché la simpatia – nel senso etimologico del termine – per gli sconfitti, altro non rappresenta che il sogno di ciò che poteva essere e non è stato.
Faccio un paio d’ esempi, per uscir fuori da un discorrere che rischia di risultare troppo astratto.
Il Sud del generale Lee. La Confederazione. Cosa sarebbe stato il mondo se avessero vinto loro e non gli Unionisti di Lincoln? Dimenticatevi, per favore, tutta la fuffa retorica sullo schiavismo e la Capanna dello Zio Tom. La secessione è la guerra civile ebbero ben altre cause. E gli ex schiavi negri, pardon, afroamericani finirono per altro con il campare anche peggio dopo essere stati “liberati”… Ma questo non è un saggio storico, bensì una piccola digressione sull’utopia.
Dunque, immaginatevi un mondo, dove, al posto dell’attuale colosso statunitense, vi fossero due Stati. Di cui uno confederale. E quindi formato da tanti Stati di fatto indipendenti, e sempre più diversi e distinti per economie, modelli culturali, usi, leggi… Una Confederazione fondata su un ethos cavalleresco. Molto più vicina alla matrice culturale della Vecchia Europa. Non solo l’America, ma tutto il mondo sarebbero oggi profondamente diversi… E forse non sarebbero accaduti tanti avvenimenti. E non si parlerebbe, oggi, di globalizzazione. Sarebbe meglio o peggio? Difficile dirlo. Ma certo sarebbe profondamente, radicalmente diverso. Tutto.
Altro esempio, pescato a caso dalla memoria, e da quella che chiamo la mia mitologia personale.
Se l’esercito borbonico, a Calatafimi, non si fosse ritirato. Se avesse ributtato a mare Garibaldi e i suoi mille, più che altro Lombardi, e molti bergamaschi… Non sarebbe nata l’Italia, direte subito. E magari qualcuno – ammesso e non concesso che qualcuno mi legga – osserverà che mi sto facendo prendere dalla nostalgia per Monaldo Leopardi e per il Principe di Canosa…
E invece non è così. Anche se per il padre di Giacomo nutro una profonda ammirazione. Ma pensateci bene… l’unità d’Italia era, ormai, un processo inevitabile. Ma si sarebbe potuto farla diversamente. Cavour, mente fina e preveggente, aveva in testa un’unità del nord e parte del centro. Regioni compatibili per sistema socio-economico. Con il Sud pensava ad un processo più graduale. Un’alleanza, magari sancita da nozze reali tra i Borbone e i Savoia. E, nel tempo, una federazione. Nel rispetto delle diversità. Ci saremmo evitati tutta la questione meridionale, il brigantaggio, l’emigrazione. E le tensioni che ancor oggi travagliano il nostro paese. Poi Garibaldi gli prese la mano… ma se a Calatafimi…. Certo, forse l’Italia non sarebbe diventata la Città del Sole. Tuttavia, sarebbe ben diversa…
Insomma, la simpatia per le cause perse adombra un viaggio verso l’isola di Utopia. Non nello spazio, ma attraverso il tempo. Forse sarebbe più corretto che usassi il termine Ucronia. Il Tempo che non c’è. Non il Luogo che non c’è. Tuttavia in questo contesto vale l’idea che tempo e spazio coincidano.
E cercare l’Isola che non c’è in un presente alternativo a quello in cui siamo costretti è, comunque, un viaggio oltre l’ultimo orizzonte. Un viaggio senza fine né approdo. Che, però, dà senso al vivere.