Uno dei romanzi migliori di Calvino. Certo il più acclamato dalla critica. Per me, però, non è così. Preferisco di gran lunga il Barone Rampante. Le Città Invisibili mi è sempre sembrato troppo cerebrale, astratto, algido… Anche per Calvino che scrittore algido è comunque sempre…
Questo, però non è un saggio di critica letteraria. L’unica cosa che mi interessa è l’incipit del romanzo. Kubilai Khan e Marco Polo.
Il Khan nipote del grande Gengiz, che ha ereditato l’impero della Cina. E il mercante viaggiatore Veneziano.
Il Viaggiatore per eccellenza, nell’immaginario collettivo. Così come gli ha dato voce Gary Jennings in un fortunato, e fantasioso, romanzo del lontano 1984.
Perché certo molti sono stati i grandi viaggiatori del passato, e la mia mente corre a Pithea di Marsiglia che giunse sino in Islanda, e, sopratutto al grande Ibn Battuta… Ma nessuno, come Messer Polo, ha incarnato nell’immaginario collettivo la figura del viaggiatore curioso di popoli, civiltà, usi, costumi…
Di qui lo spunto di Calvino. Il più potente sovrano del mondo, il Gran Khan, che chiede al visitatore straniero di descrivergli le misteriose città di un impero tanto vasto che neppure lui lo conosce davvero…
Uno spazio infinito. Chi si dilata a dismisura. E che, di conseguenza, dilata anche la percezione del tempo. Cosicché il viaggio non ha mai davvero termine. Perché non esistono confini. Come nell’allucinato “I sette messaggeri” scaturito dal genio surreale e inquieto di Buzzati.
E vagare in un paese illimitato, potrebbe davvero portare a scoprire, o per lo meno intravvedere città ordinariamente invisibili. Che non sono, però, gli astratti giochi combinatori calviniani. Non per me, almeno.
Sono altro. Luoghi incantati o terribili, generati da tanti sogni e da innumerevoli incubi. Sogni ed incubi tramandati attraverso le generazioni. Divenuti leggende. Racconti. Miti..
Le città invisibili, non quelle astratte di Calvino, ma quelle che compaiono sulle mappe oniriche, sono innumerevoli.
Atlantide, di cui ci parla Platone, e che, forse, esiste ancora, con la sua civiltà raffinata, in qualche profondità dell’oceano…
Paititi, dove si è ritirato İnkarı, il padre degli Inca. La Città d’oro, invano cercata per secoli da conquistadores ed esploratori avidi di ricchezze e avventure…
Iram delle Colonne, perduta tra le sabbie d’Arabia, dove si dice risiedano i discendenti di Noè. E che T. H. Lawrence credette, forse, di intravedere in un miraggio…
E poi altre città ancora. L’Aquilonia di Conan e la Valusia di Küll. Acheron dalle nere torri, e le città dell’incubo viste nei suoi deliri da Lovecraft…
Le nostre mappe, i nostri atlanti sono ancora lacunosi. Incompleti. Anche se ci illudiamo di avere esplorato ogni anfratto di questo mondo. Riducendolo, come scrive Ernst Jünger, ad una pallina da golf, che ruota nel vuoto insieme ad altre, innumerevoli palline…
Tuttavia anche questa è solo un’illusione. E per di più crudele, perché ci deruba dei sogni. Ci fa sentire costretti in una realtà limitata e, oggi, sempre più angusta e squallida.
È solo che non riusciamo più a sognare. Ed abbiamo perduto la curiosità febbrile di Marco Polo. Altrimenti ci renderemmo conto di quante Città misteriose si celino ancora ai nostri occhi. Di quante si ergano orgogliose tra le vette delle montagne più inaccessibili. Di quante ancora splendano tra le nebbie più fitte e negli abissi più profondi…
Fantasie? Certo. Ma è stata la fantasia, la capacità di immaginare a spingere Marco Polo nel suo viaggio verso Oriente. Ed è solo la fantasia, o meglio sono gli uomini capaci di sognare che possono cambiare la realtà. Una realtà che, in fondo, non è, oggi, che un incubo collettivo. Indotto da un grande miraggio mediatico.