L’autunno si va inoltrando. Il cielo è spesso grigio. Talvolta color piombo. Le famose “ottobrate”, colpo di coda dell’estate, hanno ormai lasciato il posto ad un’aria umida e fredda, che ti entra nelle ossa e ti fa rabbrividire. La pioggia cade monotona e uguale.
Sulle tavole, i frutti della stagione sono diversi. I fichi solo un ricordo. O già trasformati in marmellate. Al loro posto i cachi, che pendono da rami come sfere d’oro /arancio, le castagne, pronte per essere arrostite. O ridotte in farina, per preparare il castagnaccio. Il dolce che, per uso antico, si mangiava ai Morti. C’è ancora l’uva, naturalmente. Abbondante. In tutte le sue, colorate, varietà. E le prime patate dolci. Quelle che chiamavamo, da bambini, americane. E che sono prelibatezza, bollite o arrosto, accompagnate al Vin Novo. Quello che tra un mese spillerà, allegro, dai tini.
Mi domando perché l’autunno sia considerata una stagione triste. E mi viene in mente un dipinto di Jan Brueghel il Giovane. Un trionfo di forme e colori. Un’abbondanza di vita.
“Il munifico sire Autunno…” così D’Annunzio nell’incompiuto poema Allegoria dell’Autunno. Che resterà inedito, ma verrà, poi, ripreso nelle pagine più belle e intense di “Il Fuoco”. Il suo romanzo, se di romanzo è poi lecito parlare, veneziano.
E non è casuale l’ambientazione autunnale. Il Fuoco, dell’arte e della creatività, è nei colori accesi di questa stagione quanto, e forse più, che nella luminosità della Primavera. E le tinte sono più varie. Più ricche le sfumature. Più intense. Più calde, anche…
No. L’autunno non è triste. Non vi è grigiore in questa stagione. Semmai è malinconico. Perché c’è il presagio dell’inverno. E la nostalgia dell’estate. Ma la malinconia è l’umor filosofico. Ti porta a meditare sul senso e il non senso della vita. A cogliere l’effimero. E a distinguerlo dalla sostanza.
Ti sollecita ad apprezzare il vero valore delle cose. La loro intensità. E profondità.
Siamo abituati a concepire il Paradiso come un’eterna Primavera. Una giovinezza senza fine. Utopia anche questa, in fondo. Perché identifichiamo la giovinezza con la vita. E con la capacità di godere delle cose. Di amare. E viviamo nella perenne nostalgia di quanto abbiamo perduto. O crediamo di avere perduto. Il dolore profondo, l’angoscia di Leopardi. E di Kirkegaard.
Ma forse il Paradiso ritrovato è un giardino d’autunno. I colori più caldi e intensi, come dicevo. E la capacità di apprezzarli davvero. Le emozioni, i sentimenti più profondi. La bellezza di una Donna nel fulgore della piena maturità…
Pensieri di una sera d’autunno, che chiude un giorno di pioggia. Pensieri, sparsi, di un crepuscolo.
Me ne scuso con chi vorrà leggerli. Domani tornerò a parlare della Città del Sole e della luce, fredda dell’utopia.
Domani…