“Per quanti siano gli eroi adunati nel Walhalla, non saranno mai abbastanza quando la Bestia irromperà” così la Veggente, nella Volsungasaga dell’Edda, profetizza la fine dei tempi. Il Ragnarok. Quando “Loki chiamerà la danza delle spade” e Odhino, dopo essersi a lungo consultato con la testa di Mimir, scenderà in battaglia, seguito dagli altri Dei e dagli eroi che dimorano nella sua casa.
Ragnarok, in antico norreno – l’arcaica lingua dell’Edda, la lingua comune dei popoli della scandinavia – significa il Fato degli Dei. Ma è stata più spesso letta, per assonanza linguistica, come il Crepuscolo degli Dei. Il titolo del capolavoro di Wagner.
Il tema del Ragnarok mi ha sempre affascinato. Perché è una visione escatologica particolarissima. La Fine del Mondo, certo come nel Cristianesimo. Tuttavia trasformata in una grande battaglia. Nella quale anche gli Dei possono soccombere. Incontrando, appunto, il loro Destino.
Nulla di simile nell’universo mitologico greco – romano. Dove compare la battaglia degli Dei, nello scontro tra gli Olimpici e i Titani. E, se vogliamo, in quell’appendicie che è la Gigantomachia. Ma questa battaglia viene posta in un passato remoto. Non profetizzata nel futuro. E gli Dei greci trionfano. E non muoiono. Sono, per definizione e antonomasia, gli Immortali…e infatti Epicuro ce li descrive indifferenti e oziosi nei loro vacui intermundi.
Il mito norreno è fosco. Racconta un crepuscolo. Ben rappresentato dalla, possente, musica di Wagner. E ci trasmette un senso di insicurezza. Di precarietà della vita. L’immagine della nera Nave di Hell – gli Inferi nordici – che sta venendo costruita con le unghie dei morti, e che, una volta completata, prenderà il mare. Dando inizio a Ragnarok…
Loki incatenato, come Prometeo, ad una roccia. Che attende di essere liberato per dare il segnale d’inizio della battaglia…
Sürtür che, nel regno, del fuoco, forgia la spada con cui incendierà il Cosmo. Provocandone la distruzione e, al contempo, favorendone la rigenerazione.
Miti, come dicevo, cupi. Che non rasserenano. Che non promettono giardini incantati ove si beve l’ambroosia. O Paradisi astratti, pervasi di luce e musica.
E tuttavia miti che incitano l’animo.. Lo forgiano nel fuoco dell’attesa.
Ti dicono che l’importante non è sopravvivere, bensì vivere. Intensamente. Ed essere pronti a lottare. E a morire.
Perché solo chi accetta di dover morire, vive davvero. E lotta sino all’ultimo…
Certo mito, quello del Ragnarok, che non presenta prospettive salvifiche e non delinea utopie celestiali o terrene che siano. E però che ci insegna cosa significhi, realmente, essere uomini. E ad amare il nostro destino.