Abbiamo tutti, in fondo, una qualche nostalgia del passato. Una strana nostalgia, ché non sto alludendo a quella leopardiana per la giovinezza… bensì al desiderio, profondo nell’animo, di vivere in un altrove non spaziale, ma temporale. In un altro tempo, in un’altra epoca…
Una mia amica, che fa parte di un gruppo di danza storica, mi ha detto:
“Sai, io quando mi metto il vestito stile ottocento, mi sento davvero pienamente a mio agio. Molto più che con jeans e Tshirt…”
Guardo la sua foto in costume. Ed ha ragione. Così è perfetta. E raggiante. È nel suo vero abito. Per un momento nella sua vera epoca… Nella vita che vorrebbe vivere…
Ucronie personali. Ognuno di noi ne cela qualcuna dentro di sé. O per lo meno lo fanno quelli che sono vivi. Che non si limitano a lasciarsi esistere.
Ed uso il termine Ucronie perché in questo desiderio, o sogno che dir si voglia, non ravviso i caratteri di un erudito interesse storico. Per esser chiaro, l’800 della mia amica è quello del gran ballo finale del Gattopardo. Non la, cosiddetta, realtà storica di quel secolo , con le sue, inevitabili, brutture.
Tutti noi viaggiamo nel tempo. Senza bisogno della, terrificante, Macchina di H. G. Wells. È l’l’immaginazione che ci trasporta in altre epoche, ove avremmo voluto vivere. Epoche immaginarie, naturalmente. Come immaginaria era quella dei Cavalieri, Dame, Armi, Amori cantata dall’Ariosto. Un Medioevo profondo, un’età Carolingia mai esistita sul piano della realtà storica. Eppure reale su quello imaginale.
Ucronie personali, dicevo, o viaggi nel tempo. Non nel tempo che è stato. In quello che poteva essere. Con il quale sentiamo un’affinità profonda, una consonanza interiore.
Fuga da una realtà che, oggi si va facendo sempre più cupa e soffocante? Forse…ma forse anche qualcos’altro. Perché in questo sognare, e in questo cercare di dare una qualche veste concreta ai nostri sogni, riveliamo una parte di noi usualmente in ombra.
Il mite bibliotecario che, la domenica, partecipa a tornei di scherma medioevale… L’impiegato del catasto che si veste come un centurione romano… L’occhialuta professoressa che non vede l’ora che giunga Carnevale per aggirarsi per le calli di Venezia vestita, incipriata e agghindata come una Dama del ‘700…e magari vagheggia un fugace, intenso, incontro con l’ ombra di Casanova…
Tutti questi, in fondo, cercano il Tempo che non c’è. Non c’è su questa terra. Non in questa grande e tetra prigione in cui ci siamo fatti rinchiudere.
Certo, sono momenti. Attimi di evasione che danno respiro all’anima, in debito d’ossigeno. Poi si torna alla vita di tutti i giorni. Ai problemi del quotidiano esistere. Anche se il desiderio di restare lì, in quell’altro tempo, è forte. Tanto forte, a volte, da portarci alle soglie della follia. E oltre. Come Don Chisciotte, che pretese di rendere reali, hic et nunc, gli spazi Interminati e le vicende mirabolanti che l’Ariosto e il Tasso – Bernardo, non il più famoso figlio, Torquato – avevano solo sognato… O come l’Enrico IV di Pirandello.
Pazzi, volutamente. Per scelta. Per determinazione interiore. Decisi ad uscire, una volta per tutte, da questo mondo. E da questo tempo.
Pazzi…. Ma un tempo, presso i Greci, i pazzi erano considerati sacri agli Dei.
E I Greci la sapevano lunga…