Ci sono sere come questa in cui, guardando il cielo che imbrunisce, vengo preso da una struggente inquietudine . Dalla voglia di partire. Di andare lontano. Verso una lontananza infinita. Indeterminata.
È come il richiamo del mare, che prende il vecchio Ulisse nell’Ultimo Viaggio, il gioiello dei Conviviali di Pascoli. Un richiamo che è nel vento della sera. Nelle stelle che baluginano fra le nubi oscure. Nell’eco di una canzone. Nelle faville che si levano dal ciocco che arde nel camino…
Nostalgia. Desiderio di fare ritorno. Ma ritorno non alla vecchia casa e alle cose usuali. Ritorno ad una dimora mitica. Forse intravista. Forse solo sognata. E poi, comunque, perduta.
Un luogo fuori dal tempo ordinario. E dallo spazio geografico. L’isola che non c’è. E che ha molti, diversi nomi.
Thule. L’ultima Thule. L’estremo approdo. Il Porto Sepolto, se vogliamo. Sepolto in una memoria ancestrale. Una memoria del sangue e degli istinti.
Dice Pithea il massaliota di esservi giunto. E di avere trovato un’isola popolosa, ma circondata dal ghiaccio e dal fuoco. E Tacito narra, nella Vita di Agricola, che una flotta romana giunse in vista della costa di Thule. Ma non poté raggiungerla perché il mare gelò. Poi ancora l’irlandese San Brandano e tanti altri. Tolomeo cercò di darle delle precise coordinate geografiche. E Fozio ci parla di Antonio Dogene che, nel II sec. d. C., avrebbe incentrato proprio a Thule un corposo romanzo in 24 libri…
Tuttavia Thule resta un mito inesplicabile. Un interrogativo senza risposta. Le identificazioni con realtà geografiche – l’Islanda , la Groenlandia, la costa della Norvegia, l’Estonia… – lasciano, tutte, il tempo che trovano.
Thule non è mai stata una normale, per quanto remota, isola.
Forse, era la terra degli Iperborei. Dove Apollo stesso trascorreva i lunghi, e oscuri, mesi invernali. Memoria mitica di quando gli avi degli elleni risiedevano in dimore molto più settentrionali. Dove l’inverno era una un’unica, lunga notte.
Il mito delle Dimore Subpolari, di cui troviamo traccia anche nell’arcaico Calendario Romuleo dei proto-latini. Dieci soli mesi, ché per due il Sole era, praticamente, invisibile. E allora Apollo andava a svernare fra i remoti Iperborei. Depositari di segreti e misteri. Di una civiltà originaria, da cui tutte le altre sarebbero discese…
E vi fu chi, queste dimore iperboree, le cercò davvero. Fra i ghiacci del Polo. Inseguendo il mito degli Arii che avrebbero, in successive migrazioni, popolato e conquistato terre dall’India all’Europa…
Fu, ovviamente, ricerca vana. Anche se talora emergono strane consonanze, toponimi, ritrovamenti archeologici… Che, ad esempio, hanno fatto ipotizzare, di recente, che la Guerra di Troia narrata da Omero sia il riadattamento al “nuovo mondo” mediterraneo, ove si erano stanziati gli Achei, di un corpus di leggende molto più antico. Che vedeva Achille ed Ettore scontrarsi sulle rive del Baltico…
Tuttavia, Thule resta remota e irraggiungibile. Resta un sogno. E un’inquietudine. La nostalgia di un luogo che non sia astratta utopia inventata dagli uomini. Una dimora primordiale, dove ritrovare se stessi. E la propria dimensione… diciamo superiore. La vera immortalità. Non quella fisica.
Quella che il vecchio Ulisse di Pascoli raggiunge alla fine del suo ultimo viaggio. Anche se l’isola non si chiama Thule, ma Ogigia. E anche se Ulisse si spegne fra le braccia di Calypso…