Anche in questa campagna elettorale è sempre più evidente lo scollamento esistente tra Città e Contado che in tutto l’occidente sta caratterizzando il terzo millennio.
Due mondi che stanno perdendosi di vista e che devono trovare un punto d’incontro.
Da un lato i grandi numeri delle masse urbane, dall’altro un territorio scarsamente popolato, ma che può dare un contributo essenziale di fronte alle sfide che ci attendono.
Storia vecchia, la “questione montana”, emersa chiaramente fin dalla fine del XIX secolo.
Nel secolo scorso il problema è cambiato nei termini, ma una costante è rimasta sempre eguale: la popolazione che vive le Alte Terre è sempre stata tenuta fuori dalla ricerca di una soluzione.

La mancanza di una rappresentatività degli interessi montani nella struttura di potere è sempre più evidente.
Dopo la approvazione della legge forestale del 1910, la rivista “La giovane montagna” (“La giovane montagna. Organo delle vallate Parmensi, marzo 1900) promosse la protesta contro i pesanti vincoli forestali “..montanari, vi leggerò il vostro destino; i sacri voti formulati…il primo tende a farvi votare le tasche poiché propone di aumentare le guardie ed i relativi stipendi…il terzo voto vi voterà il granaio poiché vuole più rispetto per i vincoli di quel che non sia oggi” (“La giovane montagna”, legge forestale, 3-7-1909) .
Si costituirono comitati, partì la campagna di stampa, tutto inutile.
“La giovane montagna” chiese che i montanari potessero gestire il territorio e le sue risorse, boschi ed acque innanzitutto (siamo sempre lì!), tutto inutile, la legge passò con i suoi vincoli.
L’identificazione di un parametro altimetrico per l’individuazione della “montanità” dei Comuni è del 1914, quando il deputato Giuseppe Micheli chiese che ai Comuni montani al di sopra dei 650 metri sul livello del mare venissero riconosciute le agevolazioni previste per il Sud.
“Noi chiediamo quindi che, come si è fatta altre volte una questione di latitudine, si faccia un pochino anche una questione di altitudine….mentre altre regioni gridano per la disoccupazione…e ottengono milioni e milioni, i nostri fratelli, i nostri figli, senza rumore vanno pel mondo a cercare il lavoro dove si trova” (atti parlamentari, tornata 26-5-1914) .
Siamo negli anni del grande esodo dalle Valli verso le Americhe.
Alla “altitudine” fa riferimento per la prima volta nel dopoguerra il D. Lgs. P. 27 giugno 1946, n. 98 “esenzione dalla imposta fondiaria e sul reddito agrario per i terreni montani” che stabilisce che “a decorrere dal 1° gennaio 1947 è concessa l’esenzione dall’imposta sui terreni e da quella sul reddito agrario nei Comuni il cui centro abitato sia situato ad una altitudine non inferiore a 700 metri sul livello del mare”.
Di “altitudine” parla la prima legge in favore dei territori montani della repubblica, la n. 991 del 25 luglio 1952, la quale stabilisce che “…sono considerati territori montani i Comuni censuari situati per almeno l’80% della loro superficie al di sopra di 600 metri di altitudine sul livello del mare e quelli nei quali il dislivello tra la quota altimetrica inferiore e la superiore del territorio comunale non è minore di 600 metri”.

La “montanità” non può essere disgiunta dall’infittirsi delle curve di livello, segno grafico di una rugosità del territorio.
Di questo erano già coscienti i deputati dei governi di inizio ‘900 e un “gruppo parlamentare per gli interessi della montagna” si costituì all’inizio del 1914, ne facevano parte deputati per lo più liberali, di destra e sinistra, ma anche radicali, socialisti e cattolici.
Il “gruppo” “chiederà altresì che sia facilitata la costruzione delle strade in montagna e gli impianti telefonici, migliorati i servizi postali e telegrafici, adottati provvedimenti atti a mitigare il regime fiscale della montagna e alleviare le stremate finanze comunali” (“gruppo parlamentare per gli interessi della montagna”, L’Alpe, n. 4, 1914) , questioni per lo più ancora aperte ed a cui altre se ne sono aggiunte portate dalla modernità.
Un gruppo parlamentare “amici della montagna del Parlamento” si costituì di nuovo in parlamento nel 1992 e vi aderirono deputati e senatori di diversi partiti, il gruppo parlamentare si ricostituì nuovamente il 18 luglio 2001 e analogo gruppo si costituì in allora nel Consiglio Regionale del Piemonte.
I montanari hanno sempre avuto “amici”, ma non è mai stata data loro la possibilità di occuparsi direttamente della tutela dei propri interessi.
Eppure che questa strada sia la via maestra è evidente se si guarda alla situazione delle Regioni e delle Provincia alpine che godono della autonomia.
La costituzione all’articolo 44 sancisce che “La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane”, il percorso per poter attuare in modo efficace questa disposizione inizia dando la possibilità agli abitanti delle zone montane di partecipare direttamente alla stesura di queste leggi.
Intanto l’attuale legge nazionale per la Montagna rimane inapplicata, la legge n° 97 del ’94, la “Legge Carlotto” nel suo primo articolo si pone come obiettivo le “insopprimibili esigenze di vita civile delle popolazioni residenti“, obiettivo che confligge con gli attuali obiettivi di una politica montana che pone al centro l’ambiente e non l’uomo che lo vive.
Sono profondamente convinto che l’unica strada percorribile per le popolazioni delle Alte Terre sia quella di recuperare una capacità di elaborazione e di azione politica propria.
L’Italia del Nord con l’Arco alpino in prossimità della Pianura Padana e il Piemonte in particolare possono essere cantiere operativo per giungere al necessario Patto tra Città e Contado per pensare un avvenire possibile.
Sperando che anche questo argomento non sia occasione per opportunismi e inutili dispute tra le parti, ma “Luogo e Laboratorio di idee” per una Politica con orizzonti nuovi!