Mario Paciolla si è suicidato o è stato ucciso? Perché qualcuno in Colombia ce l’aveva con lui? Cos’aveva scoperto il ricercatore dell’ONU? Queste sono solo alcune delle domande che circondano la morte del giovane volontario napoletano, avvenuta in Colombia nel luglio 2020. Paciolla che aveva prodotto un dossier su dei bombardamenti che avevano portato alla morte di 7 bambini innocenti. Lui che si era mostrato preoccupato e aveva chiesto il trasferimento, invano. Lui che amava legalità e verità, senza compromessi. Compromessi che, magari, gli avrebbero salvato la vita.

Sul caso Paciolla sono state aperte diverse indagini, fra cui una interna all’ONU, una portata avanti dalle autorità colombiane e una dalla procura di Roma. Tuttavia, molti particolari delle indagini sono poco convincenti. Le novità provengono, soprattutto, dai giornalisti che hanno approfondito gli aspetti meno chiari della vicenda. E hanno messo in luce dubbi e omissioni che contraddicono la versione sostenuta dalle autorità colombiane. Il sospetto iniziale che il cooperante italiano non si sia suicidato sta trovando sempre più conferme.
di cosa si stava occupando paciolla in colombia
Laureato in Scienze Politiche, classe ’87, Paciolla aveva alle spalle varie esperienze di cooperatore per alcune onlus. Aveva poi viaggiato per lavoro in Argentina, Giordania, India. Il ragazzo era in Colombia dal 2018. Viveva nel quartiere Villa Ferro della località San Vicente del Caguán, una città nella giungla meridionale della Colombia a lungo scelta come centro strategico dai gruppi ribelli e trafficanti di droga.
Mario era partito da Napoli, l’ultima volta, il 27 dicembre 2019, per ultimare un progetto che stava portando avanti, nonostante il lockdown che sarebbe poi stato imposto in Colombia a causa della pandemia. Una recente inchiesta pubblicata sul quotidiano colombiano El Espectador dalla giornalista Claudia Julieta Duque, che conosceva personalmente Paciolla, ha aggiunto alcuni dettagli sui presunti timori di Paciolla. La giornalista sostiene infatti che, da novembre 2019, quando era rientrato in Italia per una vacanza, Paciolla aveva iniziato a parlare apertamente delle sue preoccupazioni. Raccontava di aver reso privato il suo profilo Facebook, cancellato i suoi tweet e chiesto a un amico di copiare il contenuto del suo pc. Tutto ciò a seguito di attacchi informatici subiti anche dai suoi colleghi.
Mario non aveva nascosto le sue preoccupazioni nemmeno alla sua famiglia, tanto da volere al più presto rientrare in Italia. I genitori del volontario raccontano:
“Mario era tranquillo quando è ripartito. E’ solo in quel luogo, a contatto con persone e circostanze che purtroppo non ci ha precisato, che sono cominciati i suoi tormenti”.
Su cosa stava indagando Mario in Colombia? Il volontario napoletano lavorava come cooperante per l’ONU. Era un membro di una missione delle Nazioni Unite che stava supervisionando l’applicazione dell’accordo di pace tra le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC) e il governo colombiano, stretto nel 2016. La firma dell’accordo era arrivata dopo 52 anni di guerra civile, che aveva provocato 260.000 morti e aveva costretto 7 milioni di persone a fuggire dalle proprie case. L’accordo aveva messo fine a scontri e conflitti tra il governo di Bogotà e il movimento rivoluzionario fondato da Pedro Marin. Le FARC sono un’organizzazione guerrigliera comunista della Colombia di ispirazione marxista-leninista e bolivariana, fondata nel 1964.
accordo storico tra il governo di bogota’ e le farc
L’intesa è stato siglata a Cartagena, sulla costa settentrionale del Paese. In realtà, si tratta di un gesto simbolico che chiude 44 mesi di negoziati svolti a L’Avana, a Cuba.
“La firma rappresenta semplicemente la fine del conflitto. Poi inizia il lavoro difficile: la ricostruzione del paese”.
Con queste parole il presidente della Colombia, Juan Manuel Santos, ha annunciato l’accordo storico di pace con Rodrigo Lodrono, detto Timochenko, leader delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC). All’incontro tra i due leader erano presenti 15 capi di Stato, 27 ministri degli Esteri, il segretario di Stato Usa John Kerry, i rappresentanti della Banca Mondiale, del Fmi, dell’Unione Europea, dell’Onu e dello Stato del Vaticano. Presenti anche l’Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri, Federica Mogherini, e il segretario dell’Onu Ban-Ki Moon.

Dopo la firma dell’accordo storico, l’UE ha rimosso le FARC dalla lista nera delle organizzazioni terroristiche. L’inserimento in detta lista era avvenuto nel 2005, sulla scia di quanto fatto dagli Stati Uniti nel 2002.
Nonostante le belle parole, negli ultimi anni l’applicazione dell’accordo è stata difficoltosa perché la criminalità organizzata e i dissidenti delle FARC sono ancora in conflitto tra loro per il controllo del territorio.
gli aspetti poco chiari della morte di paciolla
Era il 15 luglio 2020 quando Mario Paciolla è stato trovato senza vita nel suo appartamento, in circostanze poco chiare. A trovarlo è stato un collega che lo aveva cercato a casa perché non riusciva a mettersi in contatto con lui.
Secondo la prima ipotesi formulata dalla polizia e diffusa da alcuni media locali, l’uomo si sarebbe impiccato. Pista giudicata sin da subito poco credibile in Italia, con la reazione più che scettica da parte della famiglia e degli amici. Nelle settimane successive, in effetti, sono via via affiorati altri particolari in contraddizione con l’idea del suicidio. Sulle braccia e su altre parti del corpo del ragazzo sono state trovate alcune lacerazioni. A detta della famiglia, si tratterebbe di ferite da taglio. Segni che fanno pensare a una messinscena, come a simulare un gesto volontario. Inoltre, sono stati fatti sparire dalla scena del delitto oggetti cruciali per la ricostruzione della verità. La casa è stata lavata con la candeggina poche ore prima che la polizia arrivasse. Eppure, stando agli investigatori locali intervenuti sul posto, Paciolla si sarebbe suicidato. Questo almeno in base alle dichiarazioni del colonnello Oscar Lamprea, comandante della forza di polizia dipartimentale, che ha parlato con l’agenzia Ansa.

Il primo aspetto poco chiaro della morte di Paciolla sono i giorni immediatamente precedenti. Il 16 luglio la madre del ragazzo, Anna Motta, racconta a Repubblica:
«Mio figlio era terrorizzato: negli ultimi sei giorni non faceva che mostrare la sua preoccupazione e inquietudine per qualcosa che aveva visto, capito, intuito. Io so solamente che dal venerdì 10, la scorsa settimana, mio figlio era in uno stato di grande sofferenza […] mi chiamò e mi disse che aveva sbottato con alcuni dei suoi capi, che aveva parlato chiaro e che, così mi disse, si era messo “in un pasticcio”».
Cosa, esattamente, poteva preoccuparlo fino a tanto? La mamma precisa che il figlio non tollerava le zone grigie. Era un uomo totalmente votato alla legalità e contro le ingiustizie. A dicembre Mario aveva chiesto di cambiare gruppo di lavoro. Ed è un fatto che negli ultimi giorni era molto spaventato per la sua incolumità, tanto che il giorno in cui è morto sarebbe dovuto partire per l’Italia, in anticipo di un mese rispetto alla fine della sua missione. Poi, la telefonata che stronca ogni illusione e getta nella disperazione la famiglia Paciolla.
L’appello della famiglia Paciolla per la verità sulla morte del figlio
“Vogliamo la verità. Nostro figlio era impaurito, molto. Non mi rassegno alla scena del suicidio di mio figlio in Colombia. Lo Stato Italiano deve ascoltarci, deve aiutarci a scoprire la verità. Questa ricostruzione è farlocca, non è possibile che il nostro Mario, un brillantissimo viaggiatore del mondo e osservatore dell’Onu, si sia tolto la vita”.
Questo è l’appello che i genitori del giovane napoletano, Anna Motta e Giuseppe Paciolla, affidano a Repubblica. Sostengono che il figlio sia stato ucciso, sulla base di alcuni elementi emersi nelle settimane successive alla sua morte.
In questo momento di dolore, la famiglia Paciolla non è sola. A sostegno dei genitori ci sono associazioni, onlus, movimenti di cittadini dal centro alle periferie di Napoli. Chiedono giustizia e verità sulla fine assurda di un uomo estroverso, impegnato a portare la pace e la cooperazione nei luoghi più a rischio del pianeta. Il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, e i gruppi per i diritti umani si sono uniti alle richieste di un’indagine sulla morte di Paciolla, che hanno paragonato all’omicidio irrisolto del dottorando italiano Giulio Regeni, torturato e ucciso in Egitto nel 2016, di cui vi abbiamo parlato in questo articolo.
Anche il ministro degli Esteri, Luigi di Maio, si fa sentire. Ha detto al Parlamento che i dettagli del caso sono «poco chiari», aggiungendo che un’autopsia, organizzata congiuntamente dalle autorità italiane, dovrebbe far luce su quanto accaduto.
“Assicuro il massimo impegno da parte della Farnesina e del mio staff per un caso che coinvolge un brillante giovane impegnato in una delicata missione”.
il dossier di paciolla su un bombardamento dell’esercito colombiano
La giornalista Claudia Julieta Duque, che conosceva personalmente Paciolla, ha pubblicatato una recente inchiesta sul principale quotidiano colombiano, El Espectador, che ha fatto rivelazioni importanti. La prima rivelazione riguarda la storia di un dossier, a cui Mario aveva lavorato alcuni mesi prima della sua morte, insieme ad altri colleghi della missione ONU. Dossier che ha portato alle dimissioni l’allora ministro della Difesa colombiano, Guillermo Botero.
Il giornale collega la morte di Paciolla con la diffusione di un rapporto riservato su presunti abusi dell’esercito colombiano nella lotta contro le FARC. Il lavoro di Mario sarebbe stato reso pubblico da alcuni politici (che però hanno smentito l’indiscrezione) per destabilizzare il governo di Bogotà.

Ma proseguiamo con ordine. Nel 2019 il ministro della Difesa colombiano, Guillermo Botero, fu costretto a dimettersi. Rischiava una mozione di censura in Parlamento, per via di un bombardamento sferrato, a fine agosto 2019, dall’esercito colombiano contro un accampamento di dissidenti delle FARC (Forze armate rivoluzionarie della Colombia), costato la vita a sette minorenni innocenti. E – guarda caso – il rapporto a cui fa riferimento l’El Especatador riguardava proprio quel bombardamento. Anzi, Paciolla fu uno degli incaricati di verificare le circostanze del bombardamento, avvenuto nel 2019 in Caquetá.
Il rapporto avrebbe dovuto restare riservato. Eppure, ci fu una fuga di notizie. Il lavoro di Paciolla giunse e fu usato in Parlamento dal senatore dell’opposizione Roy Barreras in un dibattito che mise in gravi difficoltà il ministro Botero, che si dimise appunto il 7 novembre 2019. Come sarebbero giunte nelle mani di Barreras le conclusioni della verifica? Attraverso il responsabile Onu regionale, Raúl Rosende, che ha decisamente smentito la versione. Il giornale sottolinea che per questo Paciolla «si sentiva in pericolo, tradito, usato, e arrabbiato con i suoi superiori, al punto da chiedere un trasferimento ad altra sede, mai ottenuto».
La seconda rivelazione riguarda gli effetti personali di Paciolla, mai arrivati alla famiglia. In particolare, l’El Espectador rivela che nella sede della Missione Onu a Bogotà «è stato trovato un mouse del computer di Paciolla che i dipendenti delle Nazioni Unite, guidati dal capo della sicurezza della Missione nel Caguán ed ex militare a riposo dell’esercito colombiano, Christian Leonardo Thompson Garzón, hanno sottratto nel suo domicilio all’indomani della morte».
Un accesso all’appartamento che era stato consentito da alcuni poliziotti colombiani, ora indagati per «ostacolo alla giustizia».
Il mouse del computer di lavoro di Mario avrebbe dovuto comparire nell’inventario inviato alla famiglia della vittima, che però finora non ha ricevuto assolutamente nulla. Ciò che non si sapeva fino a oggi, sostiene la giornalista, è che «una prova tecnica realizzata da funzionari della Procura ha indicato che il mouse era impregnato di sangue, ma nonostante questo fu pulito e prelevato dall’ONU».
Una ricostruzione, quella dell’Espectador, molto precisa e dettagliata ma che al momento non trova conferme nelle indagini italiane.
poliziotti colombiani indagati per OSTACOLO ALLA GIUSTIZIA
A poche settimane dalla morte di Mario Carmine Paciolla, alcuni poliziotti sono finiti sotto inchiesta della Procura locale per aver ostacolato le indagini sul cooperante italiano.
Le prime indagini effettuate nell’appartamento sono state condotte in modo inappropriato e la Procura generale colombiana ha indagato sugli agenti della polizia criminale (Sijin). L’ipotesi di reato è ostruzione alla giustizia. I poliziotti, all’indomani del ritrovamento del corpo, hanno permesso ad un’unità dell’Onu di prelevare tutti gli effetti personali di Paciolla e di alterare la scena del delitto per risalire alle cause del decesso. In questo modo, denuncia la giornalista Claudia Julieta Duque, amica di Paciolla, l’appartamento del cooperante italiano non è stato protetto. Dall’abitazione, inoltre, risulta che siano stati prelevati oltre otto milioni di pesos (1.820 euro), carte di credito, passaporti, una macchina fotografica, materiale informatico, varie agende, ricevute e numerose fotografie.
La giornalista, che scrive per El Espectador, segnala poi che all’autopsia del cadavere di Paciolla partecipò anche il capo della missione medica locale dell’Onu, nonostante non fosse un anatomopatologo. Il capo della missione di verifica delle Nazioni Unite si è rifiutato di rispondere a diverse domande riguardanti le azioni svolte dal personale alle sue dipendenze. C’è in particolare mistero sull’ultima telefonata che Paciolla fece la notte del 14 luglio, poche ore prima di morire, con il responsabile della sicurezza dell’Onu.
Sul comportamento adottato dai funzionari dell’Onu in Colombia anche l’Italia si aspetta delle risposte chiare. Lo ha ribadito il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, spiegando che chiederà alle Nazioni Unite «massima trasparenza non solo nelle informazioni, ma anche nell’indagine aperta internamente».
il silenzio dell’onu
L’edizione napoletana de La Repubblica riporta le accuse effettuate dalla famiglia Paciolla-Motta in merito all’operato (o, per meglio dire, al mancato operato) dell’Organizzazione delle Nazioni Unite sulla morte di Mario.
“L’ONU in realtà non mostra di essere minimamente collaborativa. Dall’inizio di questa tragica vicenda, dalla prima telefonata non è emerso alcun sentimento di vicinanza, umanitá, dolore, nei confronti di genitori che aspettavano un figlio da riabbracciare”.
All’indomani delle dichiarazioni della famiglia Paciolla-Motta, le Nazioni Unite spiegano la linea del silenzio sulla vicenda. In una nota pubblicata sul sito ufficiale delle Nazioni Unite, Farhan Haq, il portavoce del Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, informa che l’ONU sta «cooperando pienamente con le autorità colombiane incaricate di determinare le cause della morte di Mario Paciolla» affinché “le circostanze vengano pienamente chiarite». Il portavoce assicura, inoltre, «piena cooperazione con le autoritá italiane».

Poi scende nel dettaglio ed enuncia due tra le misure adottate per agevolare le indagini. In primis, la revoca dell’immunitá ai funzionari della Missione di verifica in Colombia, che possono dunque da oggi essere sentiti sul caso del volontario italiano. In secundis, la disponibilitá nel fornire informazioni e rendere disponibili all’esame delle autoritá competenti gli effetti personali e le attrezzature di lavoro del loro collaboratore.
Eppure, la famiglia di Paciolla non si è mostrata d’accordo con l’atteggiamento dell’Onu sull’intera vicenda. Tantochè nelle settimane seguenti la famiglia del giovane, sostenuta dagli avvocati Alessandra Ballerini ed Emanuela Motta, ha protestato per la scarsa collaborazione dell’ONU. Il motivo del dissenso riguarda la mancata collaborazione all’indagine da parte dei colleghi di Mario. Sostengono che: «Nessuno, tranne uno, a oggi sì è sottoposto all’audizione della Procura colombiana».
Da allora, la famiglia Paciolla non ha poi mai ricevuto risposta alle varie richieste rivolte all’ONU. Nessuna risposta in merito alla richiesta di restituzione del computer e del cellulare di Mario, che sono ancora nelle mani dell’Onu. Nemmeno riguardo alla possibilità di leggere i report scritti da Mario negli ultimi mesi, nei quali ci potrebbe essere la chiave per ricostruire il movente di quanto accadutogli.
Nel frattempo, alla luce delle possibili responsabilità delle più alte cariche politiche colombiane, come ipotizzato da El Espectador, e in attesa che il lavoro della Procura restituisca maggiore trasparenza nella vicenda, il senatore di maggioranza Sandro Ruotolo ha chiesto che l’opinione pubblica si mobiliti sul caso Paciolla.
“A questo punto è necessaria la mobilitazione dell’opinione pubblica italiana. L’Onu deve dare risposte precise. Anche perché fare luce sul caso Paciolla non è un auspicio ma un dovere civico e di verità”.