“Prof. sono agitata… Non so se mi riuscirà di dormire stanotte..” la voce mi giunge dallo schermo. Non siamo in classe. E questa non è una lezione, né reale, né virtuale. Solo una chiacchierata il giorno prima dell’inizio degli esami. Che, sinceramente, avrei preferito fare come sempre con la classe dei maturandi. Dal vivo, in un’aula circondata dal silenzio della scuola, ormai semidesertica. O anche a bar di fronte. Seduti a bere un caffè freddo. O, meglio ancora, una birra gelata…. Ma questo è l’anno che è… E quindi incontro su piattaforma web. Dicono che, anche senza il Covid, sarà questo il futuro…. fortuna che non dovrebbe mancare molto alla pensione…
Comunque sono qui. Di fronte al video. I volti come le figurine dei calciatori negli album Panini di un tempo. Ma le voci mi giungono distinte. Almeno quelle…
“Prof. siamo tutti nervosi. Agitati. Per domani…”
Già, la notte prima degli esami. Un classico, in fondo. Vi hanno fatto sopra anche un paio di film. Il primo non era male. Anche, e soprattutto, per uno straordinario Faletti nella parte del professore (in apparenza) carogna…
Certo, erano esami ben diversi. C’erano le prove scritte, che segnavano un inizio comune. Adesso non c’è più una vera notte prima dell’esame. Comune. Per tutti i maturandi d’Italia. Ognuno ha una sua specifica, solitaria vigilia. Prima dell’unica prova orale. E, a ben vedere, anche questo è il segno di una società sempre più atomizzata. Disgregata. Priva di riti comuni. Quella che certi loschi speculatori, o peggio che speculatori, volevano. E che stanno realizzando ora. Grazie al Covid. E sopratutto grazie alla stupidità e viltà degli uomini…
Comunque, era diverso. Ancora fino a un paio d’anni fa. Quando le commissioni erano, per metà, ancora composte da esterni. E tra i ragazzi era tutto un affannarsi a cercare informazioni. Con le chat ultimamente. In tempi più lontani con… radio fante. Il passaparola che dilatava, deformava, ingigantiva le notizie….
Quello di italiano, dice un amico di mio cugino che ce l’ha, è un poco fissato con Svevo… Gli piace proprio… Facile che lo chieda… (primo passaggio)
Dunque, mi dicono che quello di italiano chiederà di sicuro Svevo. È fissato e fuma come un maledetto… (secondo)
Aho raga’, quello di italiano è no’ stronzo. Tira a fregarte con Svevo. E pretende che parli con accento triestino… (passaggio finale, ho saltato gli intermedi)…
Comunque, anche questo era parte dell’attesa. Dei rituali, più o meno scaramantici, che accompagnavano la Notte che, poi, si dice nessuno possa mai dimenticare. E, in fondo, non senza ragione. Perché uno può scordarsi tante cose, tante vigilie… Quella prima del matrimonio, ad esempio, anche perché poi molti vorrebbero cancellarla dalla memoria. Ma quella prima degli Esami no. Non si può dimenticarla. Perché rappresenta, in fondo, il momento in cui si abbandona il mondo dell’adolescenza. E si entra, piaccia o meno, nell’età adulta. Dal giorno dopo gli esami, infatti tutto sarà diverso. Si dovranno operare scelte. Scelte che determineranno la vita futura. O, per lo meno, questa è la sensazione che si prova in quelle lunghe ore di attesa. Ore inquiete. Di paura e speranza. Di aspettativa, comunque…
È quello che ho sempre letto nei volti e negli occhi dei miei studenti. Probabilmente lo stesso che i miei antichi (ormai) professori lessero nei miei…
E allora mi ricordo, anche mi spiego, i diversi modi di vivere queste ore. Le solitudini di alcuni. Non necessariamente riversi sui libri. Spesso stesi sul letto, fissando un punto immaginario del cielo, al di là del soffitto. E ascoltando musica…
Altri che studiano, o fingono di studiare in gruppo. Le domande che si accavallano caotiche. Le promesse… Anche se andremo in Università diverse non ci perderemo mai di vista…e ti suona già falsa mentre ancora la stai pronunciando…
Le dichiarazioni disperate a quella della terza fila. Quella coi capelli rossi. O neri, o biondi.. Che hai fissato come un ebete per cinque anni, senza riuscire mai a proferire un discorso articolato… ma ora, accidenti… Ora andrà come andrà…
E quelli che escono. Che vanno a bere. Che fanno, come dice il Boro, un gran casino. E che al compito, quando ancora c’era, arrivavano con gli occhi cerchiati, un gran mal di testa… ma, tutto sommato, sapendo di aver attraversato un guado. L’ultima notte di incoscienza… In cui si ha il diritto, quasi il dovere di essere incoscienti..
Riti di passaggio. Ciò che ne restava. E di cui resta sempre meno. Poco, troppo poco…
“Prof…. Io ho una gran paura. Che devo fare… Che dobbiamo fare?”
Fisso lo schermo in silenzio. Poi.
Dovete averla la paura. Questa… è una paura sana. Che vi farà bene.