Prima o dopo quel momento arriva. Inevitabilmente. Chiunque scriva lo sperimenta. La pagina bianca. Un incubo. Tu hai davanti questa pagina. Vuota. Bianca. E il bianco è il colore del nulla. Dell’assenza. E sai che devi riempirla. Ma non sai come. Le idee…non vengono. Se ne restano in un iperuranio per te inaccessibile. Ti senti svuotato di forze. Vorresti mollare tutto. Fuggire. Fare altro. Ma non puoi. E non per un, malinteso, kantiano senso del dovere. È la maledetta pagina bianca che ti trattiene. Con un potere quasi ipnotico. Ti sfida. E tu resti lì. Con un senso crescente di impotenza.
Ora mi si dirà che la pagina, bianca o scritta, non esiste praticamente più. Si usano computer, tablet, smartphone… E ci sono tanti ausili che possono fornirti, in un battito d’ali di farfalla, citazioni, riferimenti et cetera…
Vero. Ma Wikipedia o altro non possono sostituire le idee. Quelle o ce le hai o non ce le hai. E se non arrivano, da qualche altro cielo o da un recondito recesso dell’inconscio, la pagina resta bianca. Anche se quella informatica la puoi colorare nei modi e nelle sfumature più variopinte. Ma bianca, nella sostanza, resta. Il non colore del vuoto. E dell’angoscia.
E allora ti metti disperatamente – una strana disperazione pigra ed indolente – a fugare nei depositi della memoria. Persino nella spazzatura delle rimembranze. Cercando di risvegliare, se non pensieri, almeno vecchie sensazioni. Sperando di cavarne fuori qualcosa….
Vediamo… Immagini di una serata romana di autunno. Tiepida ancora. Campo dei Fiori. È tornata la vita. Turisti, gruppi di giovani. Locali e caffè aperti….sembra tutto come un tempo. Però….
Però a terra mascherine luride. E poi passa una famigliola italica. Padre, madre, due figli. Il più piccolo avrà sì e no cinque anni. Vanno a prendere il gelato. Tutti e quattro rigorosamente mascherati e con guanti di lattice… E d’improvviso ti rendi conto che…
No. Non funziona. Roba già detta. Già scritta….annoia me. Figurarsi un ipotetico lettore…
Ancora per un paio di mesi siamo nell’anno dantesco. E un’amica, del Vertex Teatro, mi scrive che vorrebbero organizzare qualcosa. Bello. Molto. Già… Ma che posso cavarne fuori ora come ora? Magari l’ennesima digressione sulla Donna in Dante e nella poesia. Ma anche questo….e poi, oggi, evidentemente, non è giornata. Per queste cose, per questi temi, ci vuole uno stato d’animo particolare. Che, evidentemente, oggi non ho.
Faccio un salto al mercato vicino a casa. Natale il Matriciano, è aperto anche la domenica. Perché lui, mi dice, è un calabrese del Nord. E lavora sempre, mica come questi terroni… E poi, dottò, noi abbiamo da fermare i cinesi. Quelli lavorano sempre e, a poco a poco, ce se magnano…
Potrei parlare di questo. Della progressiva sinizzazione dei modelli sociali e del mercato del lavoro in Europa e in Italia. Che sta distruggendo il ceto medio. E generando una massa amorfa di manodopera non specializzata e a basso costo….ma questo è un pezzo per Electo, rubrica Lifestyle o Cultura, non so che deciderà Augusto. Comune roba leggera, diciamo così. Certi mattoni me li devo riservare per altre occasioni.
Natale, oltre a caciotte e salami, mi ha rifilato un pezzo di castagnaccio. E me lo sto gustando col caffè. Squisito.. Ma del castagnaccio ho già parlato troppo di recente. Me ne ricordo bene. E certo se lo ricorda anche il direttore…. Nonostante si sia entrambi ormai in età per andare a vedere i cantieri. E con i primi segni di Alzheimer…
Però non mi ricordo di avere mai parlato del caffè… O forse sì, e la memoria, appunto, falla.
Ed ho appena assaggiato due stupende marmellate, che mi sono state donate. Hanno un sapore…. Però per scriverci sopra qualcosa, per trarne spunto devo assaporarle con calma. Molta calma.
Intanto, per fortuna, mi accorgo che questo pezzo si è, in sostanza, scritto da solo. Parlando della pagina bianca, del vuoto. Del nulla.
In fondo, quello di cui parlo e scrivo sempre…