P. gira per il Cavalletto – il locale ove spesso pranziamo – con in mano un bicchiere. Un bicchiere basso e largo, di quelli che, solitamente si usano per il wiskey. Ma non contiene wiskey. Né bourbon. Nè altro liquore. Contiene…una palla di neve. Una palla di neve che ha portato direttamente da Palù. In cima alla Valle dei Mocheni. Dove abita da quando è andato in pensione..
E qui è necessario un, primo, chiarimento. P non è Mocheno. Nulla a che fare con quel (piccolo) popolo, circa 1500 individui, che vive in quella valle, alta 1600 metri, sopra la Valsugana. E parla un dialetto tedesco del 1400. Valle stregata, l’ha definita Musil, che la scoprì nel corso della Grande Guerra. Terra di masi e di piccoli, minuscoli borghi. Di costumi e cucina dal sapore antico.e di boschi che sembrano immensi. E senza tempo.
A P. quel paesaggio, quel silenzio erano sempre piaciuti. “E poi le case lì costano poco” mi ha detto. “E io ho bisogno di spazio…”
Già …P. è un artista. Definirlo scultore o pittore mi sembrerebbe improprio. Perché lavora molto con legno, metalli, altri materiali. E, da quello che ho capito, molto più con la fiamma ossidrica, che con lo scalpello o il pennello.
Insomma è quello che credo si definisca un artista concettuale. Ma prendete questa definizione con le pinze. Io, in queste cose, sono una vera capra. Fino ai futuristi ci arrivo. Ma già con l’informale… comincio ad avere dei problemi.
Comunque, P. è bravo. Alcune sue opere sono suggestive. E mi piacciono. Altre… stento a capirle. E glieli dico. Lui, però, non cerca di spiegarmele. Ed ha ragione. Queste cose, o le capisci da solo, o ogni spiegazione è inutile. Come per la poesia degli ermetici… o dei concettisti barocchi…
Comunque, qui, in paese, dire che uno l’è un artista, equivale a dire che l’è matto. O, per lo meno strambo forte. Il che, però, non è un’offesa. Anzi. Perché questo, dove vivo ora, si vanta di essere il paese dei matti. E così è conosciuto in tutta la zona, forse per la presenza di un vecchio manicomio, ormai in disuso da molti decenni. Forse per altre ragioni…
P. matto matto non è. Ma strambo forte, artista, di sicuro. E adesso è qui che gira per il Cavalletto. Mostrando a tutti la palla di neve dei Mocheni. Che lentamente si scioglie nel bicchiere.

Al solito tavolo (vicino al bancone del bar, isolato, ché non ci piace stare un mezzo agli altri avventori ) siamo letteralmente capottati dal ridere. R. ha le lacrime agli occhi. Gli altri due, addirittura i singulti.
Gabri, il padrone, non riesce manco a respirare per le risate.
Ma P. insiste. Con la sua palla di neve.
Matto. Strambo. Però….a ben pensarci…
Quella neve è caduta nella notte. Sulla Valle stregata. Milleduecento metri sopra a qui.
E doveva essere candida. Pura. Incontaminata.
Lui l’ha raccolta. Plasmato una palla di neve, come i bambini di un tempo. Messa nel bicchiere. E portata a Valle.
A poco a poco, la neve è diventata…grigia. Rimanda una sensazione nebbiosa. Di…decomposizione. Anche perché sta diventando acqua. Gelida e torbida.
Mi viene il dubbio che sia…una metafora. In fondo P. è un artista. E parla per metafore. Se no, parla in dialetto.
Una metafora della vita? Più ti avvicini al mondo moderno, più perde purezza. Ingrigisce. Si liquefa…
Sto per dire a P.: Sai, questa tua opera l’ho capita davvero. Dovresti intitolarla “liquefazione” o anche “l’effimero”.
Ma lui torna a sedersi. Il bicchiere è, ormai, acqua. Sporca. Lo guarda, lo posa… e prende un prosecco. Poi guarda noi, intorno. E dice
“Scusè …ma noi si sarebbe una conventicola?”
R. quasi cade dalla panca….
“Si è messo a leggere la Treccani – commenta D. – gavemo perso l’omo “