Ho sempre avuto, sin da ragazzino, fors’anche prima, una, potrei dire innata, simpatia per i perdenti. O, come dice qualcuno, per la parte sbagliata della Storia… ma, sinceramente, a sta Storia con la maiuscola io non credo…
Insomma, per tagliare corto sui discorsi troppo astratti, io, al cinema, facevo il tifo per i Sudisti di Lee contro i Nordisti di Grant. E per Toro Seduto e Nuvola Russa contro quel boja di Custer. Anche perché leggevo. E sui libri trovavo cose che i film, patinati, di matrice hollywoodiana, tenevano ben nascoste.
Ora non mi metterò, nuovamente, a parlare dell’etica dei samurai giapponesi, di Mishima scrittore straordinario, e di un libro altrettanto straordinario, “La nobiltà della sconfitta”, di Ian Morris… lo ho già fatto… più volte, credo. E il Direttore un po’ di memoria la conserva ancora.
Invece, mi va di riflettere un po’, così per ingannare il tempo – fuori si sta scatenando l’ennesimo temporale di questi strano maggio – sul perché qualcuno, come me, propenda, tendenzialmente sempre, per la parte perdente.
Perché non ne faccio una questione di scelta razionale. Di saper valutare chi avesse ragione, chi torto. In queste cose la ragione, la motivazione razionale, viene sempre dopo. All’inizio è l’istinto quello che conta. E che determina le scelte.
Ora, una sorta di risposta mi sembra di averla trovata in una vecchia intervista. A Giorgio Albertazzi. Che parlando del suo periodo giovanile nella RSI – mai rinnegato, anzi sbandierato con orgoglio – dice che lui andò da quella parte, che sapeva perdente, per una sorta di istinto anarchico. Di rivolta. Di cui mai, poi, si è pentito.
Mi ha fatto ripensare a mio padre. E a tanti suoi amici. Che fecero le stesse scelte, e, a ben vedere, per le stesse ragioni. Senza curarsi dell’opportunità, dell’interesse, della convenienza… del cosiddetto vento della Storia insomma. Perché quelli che dal, defunto, regime avevano tratto profitti, prebende, onori e carriere, si guardarono bene da correre a Salò. Anzi, si affrettarono a rifarsi una verginità. Per continuare a stare dalla parte del vincitore.
È probabilmente questo che Albertazzi intende con “spirito anarchico”. Nulla a che vedere con l’Anarchia ideologica. Piuttosto il gusto di nuotare contro corrente. Di fare il bastian contrario.
In sostanza penso che questo spieghi tante cose. Spesso contraddittorie fra loro. Anzi, decisamente opposte. Ad esempio come si possa ammirare il Garibaldi rivoluzionario, che mette a rischio la vita ovunque, e, al contempo, fare il tifo (storico) per gli ultimi alfieri borbonici arroccati a Gaeta e Civitella del Tronto.
Come si possa considerare necessaria la nascita dell’Unità d’Italia, guardando a figure tragiche come Pisacane, e però emozionarsi leggendo “La cripta dei cappuccini” di Joseph Roth.
Contraddizioni, certo. Che non si possono spiegare con alcuna logica. E che, però, ti permettono di intravvedere tra le pieghe dei racconti, l’altro, o meglio gli altri volti della storia. A non pensare che questa abbia un senso ed un fine univoco. Anche se sarebbe decisamente più facile, e soprattutto più conveniente, pensare così.
Una visione… anarchica. Priva di ordine esterno. Di senso comune. Caotica, forse… ma dotata, almeno, di una sua coerenza etica. Ed estetica.
E poi mi pare che fosse Chesterton che diceva: Mi contraddico? Ebbene sono abbastanza vasto per contenere tutte le mie contraddizioni…
Lui, notoriamente, pesava sui 150 chili…