C’è chi vuole copiare il partito repubblicano statunitense, fucina di grandi esponenti del pensiero e della cultura in genere; c’è chi sogna l’ammucchiata al centro, per sostituire Osvaldo Napoli con Maria Elena Boschi; c’è chi promette la rifondazione conservatrice, sempre sul modello dei repubblicani yankee però diverso (non si sa in cosa, ma si vedrà); c’è chi spera di cacciare Giggino e di recuperare Dibba; c’è chi prova a cancellare Dibba ed a cacciare Conte. E c’è chi si gode lo spettacolo senza far nulla per evitare di far capire che le sue truppe non sono migliori di quelle altrui.
Però, tra tutte queste speranze, promesse, rifondazioni annunciate, rivoluzioni sognate, esiste un elemento comune: neppure una parola sulla improcrastinabile necessità di cambiare radicalmente il personale politico che ha offerto l’ennesima immagine di squallore, impreparazione, inadeguatezza. Un problema trasversale e che, trasversalmente, viene ignorato. Salvo poi fingere di stupirsi quando, alle suppletive romane per eleggere un deputato, a votare si reca l’11% degli elettori.
Eppure, in questi giorni di continue polemiche, anche furibonde, tra partiti ed all’interno dei partiti, non una parola è stata spesa per riconoscere il completo fallimento dei percorsi per la formazione delle rispettive classi dirigenti. Parlamentari privi di ogni qualità oltre a quella di leccare i piedi giusti per far carriera. Lo si è visto in questi giorni in cui il parlamento è stato sotto i riflettori, lo si vede ogni giorno a livello di politici regionali e comunali.
Maggioranza, opposizione: non cambia nulla. Il livello rimane bassissimo e le eccezioni sono sempre più rare. E queste rarissime eccezioni poco possono fare, annegate come sono in una palude di mediocrità quando si è molto fortunati.
Marco Tarchi, riferendosi a Giorgia Meloni ed al suo velleitario progetto di rifondazione di non si sa cosa, cita De Gaulle che, di fronte a chi chiedeva di liberarsi di tutti gli imbecilli che lo circondavano, rispose ironico: “Vasto programma”. Irrealizzabile non solo per la sorella della Garbatella ma per tutti gli schieramenti.
È comprensibile, però, che le classi dirigenti si rifiutino di pensare alla formazione di nuovi quadri che, se adeguatamente preparati, finirebbero per accantonare i politici attuali. Magari costringendoli ad andare a lavorare. Dunque meglio proseguire con le cooptazioni degli imbecilli più fidati. Oppure meglio rivolgersi a personaggi della società civile che non siano in grado di crearsi un reale seguito politico. Una candidatura oggi, magari un’elezione domani e poi si torna a casa. Senza pericolose tentazioni di carriere politiche durature.
Meglio limitarsi a cambiare i nomi ai partiti, meglio cambiare alleanze, meglio copiare percorsi politici stranieri e totalmente estranei alla realtà italiana. L’importante è non affaticare le classi dirigenti dei partiti con la richiesta di un pensiero autonomo. Meglio non infastidire gli aspiranti consiglieri comunali e futuri assessori con la pretesa che studino, che si preparino. Per le rivoluzioni annunciate bastano quattro slogan. Inutile studiare..