Il piccolo Alfie Evans come Charlie Gard, era un bambino britannico affetto da una rara malattia mitocondriale, ossia di un disturbo neurodegenerativo che lentamente distrugge il cervello.
Impossibile non fare analogie tra le due vicende, ciò che le accomuna è una malattia rarissima e una famiglia disposta a lottare fino alla fine per il proprio bambino attivando mobilitazioni internazionali.
Il padre di Alfie, Thomas Evans, ha voluto incontrare in Italia il Papa, che ha lanciato un appello per salvare il bambino. L’invito del Papa è stato accolto sia dal Bambino Gesù di Roma sia dai ministri Angelino Alfano e Marco Minniti che, con un colpo di scena, hanno deciso di concedere al piccolo Alfie la cittadinanza italiana, per cercare di far trasferire il bambino nell’ospedale romano.
La questione ha sollevato molte polemiche per i risvolti diplomatici che la vicenda assume e per l’atteggiamento delle nostre istituzioni.
L’Italia, concedendo la cittadinanza, inevitabilmente ha aperto di fatto un conflitto medico e diplomatico. Appariva comprensibile la posizione del governo britannico contraria al trasferimento del bambino in Italia.
Le contraddizioni nel nostro Paese sono molte, ma questa della cittadinanza concessa nell’arco di una giornata è eclatante, se si considera che questo diritto continua ad essere negato a bambini e ragazzi nati e vissuti in Italia.
Per la legge inglese non ha senso tenere in vita un bambino che non ha nessuna possibilità di guarire, diagnosi confermata anche dai medici italiani, allora perché addentrarsi su uno Stato di diritto di un altro Paese, contro la decisione dell’Alta corte di giustizia inglese e della Corte europea dei diritti umani?
I nostri politici hanno fatto a gara per prendere la difesa dei genitori contro giudici e medici, difendendo il diritto previsto dalle normative europee che garantiscono a ciascuno la possibilità di curarsi ovunque in Europa, ciò che deve farci riflettere sono gli atti inconsulti e di pura ideologia del governo italiano.
Troppa ipocrisia, dato che in Italia non sono indispensabili tribunali e verdetti per arrivare a tristi sentenze, le “norme” italiane non sono amiche del malato terminale, si parla di proporzione tra cure e sofferenze, ma l’amara verità è che le risorse sono limitate, non si riescono a garantire a tutti cure costose o impegnative per il Sistema Sanitario Nazionale. In un caso come quello di Alfie in Italia, nell’articolo 1, comma 6 si afferma che “Il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norma di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali. A fronte di tali richieste il medico non ha obblighi professionali”, la richiesta dei genitori avrebbe esito negativo e questa norma darebbe pieno fondamento allo stesso risultato a cui si è arrivati in Inghilterra.
È necessario puntualizzare che il nostro Sistema sanitario che un tempo veniva definito uno dei migliori al mondo, adesso non lo è più proprio grazie alle ingerenze della politica partitica, che in questi anni con interventi occasionali e senza una programmazione coerente non ha permesso di offrire un livello di prestazioni standard, soprattutto per problemi finanziari.
L’attenzione mediatica appare eccessiva in virtù del fatto che il criterio con cui i giudici decidono è quello dell’interesse del minore, non si può mantenere un individuo in uno stato di sospensione dalla morte, tutti i medici interpellati sono stati unanimi a riguardo: non esistevano cure per il piccolo, ogni tentativo di prolungare la sofferenza di Alfie era inutile, per lui non si prospettava alcun futuro.
La diffusione delle immagini e della storia di Alfie Evans insinuano in noi il ragionevole dubbio che possa essere stato l’involontario protagonista di una propaganda politica, in nome di un sentimento pietoso si è arrivati a un sensazionalismo tale da permettere uno sfruttamento della sua immagine e del dolore della sua famiglia.