Che la psichiatria, con l’appoggio di professionisti compiacenti e la complicità primaria degli apparati giudiziari, sia stata per decenni il braccio del potere per la normalizzazione del dissenso e la messa fuori gioco dei non addomesticati è un dato ormai accertato.
In più, un silenzio altrettanto connivente da parte dei cosiddetti psichiatri democratici ha permesso che i soprusi continuassero indisturbati e le denunce venissero vergognosamente accantonate in nome di una tanto vile quanto correa e falsa presunzione di apoliticità della materia.
In Unione Sovietica all’usurata e discutibile formula di “nemico del popolo”, era subentrata quella di “deviante” (ovviamente dalle direttive ufficiali) e perciò “dissidente”.
L’Occidente libero e democratico non fu da meno in queste operazioni se una perizia psichiatrica su grande poeta quale Ezra Pound determinò il suo internamento per 13 anni all’ospedale psichiatrico federale St. Elizabeth di Washington in quanto: “Da tempo è conosciuto come un eccentrico, un brontolone, un egocentrico […]. È nostra opinione che la sua personalità, per molto tempo anormale, si sia ulteriormente distorta con gli anni […]. È […] pazzo e incapace di presentarsi a un processo; ha bisogno di essere curato in un ospedale psichiatrico”.
Si pensava che simili trattamenti fossero finiti, e invece il passato ritorna nei nostri giorni e nella vicina Francia.
Il 12 settembre 2018 è stata consegnata all’avvocato David Dassa Le Deist, legale di fiducia di Marion Le Pen, l’ordinanza della Corte di Appello di Versailles, Tribunale di Prima Istanza di Nanterre, di sottoporre a perizia psichiatra la presidente del Raggruppamento Nazionale.
L’incarico viene conferito alla psichiatra dr.ssa Berénice Gardel. Concede dieci giorni di tempo per modificare o completare la questione posta.
Ma quale questione?
Il 16 dicembre del 2015, Marine Le Pen aveva pubblicato su Twitter tre fotografie delle atrocità commesse dallo Stato Islamico, commentando: “Questo è Daesh!”, in risposta ad un giornalista che aveva paragonato il suo partito all’Isis.
In Francia, però, chiunque diffonda “immagini violente, pornografiche o contrarie alla dignità” è punito in base agli articoli 227-24 e 706-47 del codice penale.
Quindi, il problema non è se le foto corrispondano a fatti realmente accaduti o siano dei falsi artatamente costruiti del diffamare un gruppo o un soggetto, se tali immagini siano state diffuse per turbare l’ordine pubblico o per discriminare una parte politica, ma semplicemente se possano risultare “contrarie alla dignità”, formula dubbia e pericolosa perché vaga e facilmente interpretabile in modo distorto.
Un punto fondamentale è accertato: le foto sono vere e corrispondono alla realtà dei fatti, e sono facilmente reperibili in rete. Quindi non il reato di “diffusione di notizie false e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico”, ma la volontà di silenziare la verità per non creare allarme sociale.
Insomma, la psicogiustizia è all’opera per tacitare con la diagnosi chi dimostra la realtà e lavora per nascondere agli occhi del popolo le manovre losche del potere.
L’attacco del sistema genericamente inteso, assieme alla guerra economica, intende usufruire di quella psicologica, la concretizzazione della profezia di Orwell: la psicopolizia si occupa dello psicoreato, un concetto che va ben oltre al divieto di esprimersi, ma si spinge appunto a vietare anche solo di pensare in modo divergente dalle disposizioni prescritte dal pensiero unico totalitario e omologante.
Niente più nemici da combattere, ma malati da curare, e verità da nascondere.