Mi capita sotto gli occhi una vecchia copertina. Della “Domenica del Corriere”, il rotocalco che dominò la scena editoriale italiana per quasi un secolo. Lo aveva voluto Luigi Albertini, nel 1899, come settimanale della borghesia colta e, al contempo, come rivista popolare. Ed aveva subito chiamato ad illustrarne le, presto famose, copertine e ultime pagine, Achille Beltrame. Avevano entrambi 28 anni. La tanto irrisa Italietta dei Notabili, non era, dopotutto una gerontocrazia sclerotica come l’attuale.
Beltrame aveva studiato a Brera, con Francesco Hayez. Il massimo esponente del nostro Romanticismo in pittura. E forse proprio da questa radice romantica, gli venne l’idea delle famose illustrazioni di episodi sì di vita reale, ma decisamente… romanzeschi.
Erano belle quelle illustrazioni. Ma ancor più bella, o se vogliamo, interessante è l’idea che la vita, ordinaria, quotidiana, celi in sé un che di romanzesco. E che, in buona sostanza, i grandi scrittori dell’800, il secolo per eccellenza del romanzo, Flaubert, Balzac, Maupassant, Dickens, i nostri De Marchi, Imbriani, De Roberto, fino a Svevo, altro non avessero fatto che cogliere l’elemento romanzesco, ovvero il filo rosso nella matassa aggrovigliata di fili grigi che è la quotidiana esistenza. Da Svevo in poi, gli epigoni, Berto, Moravia, hanno poi raccontato i fili grigi e il garbuglio del vivere ordinario. Romanzi grigi, certo. Ma pur sempre romanzi…
Mi viene da pensare che, se si riesce a distaccarsi per un attimo da ciò che avviene intorno a noi, e che ci coinvolge e avvolge…se si riesce ad uscire dalla corrente, e sedersi sulla riva, e guardare il fiume…allora si può davvero cogliere quanti e quali romanzi siano nel nostro quotidiano. Quante persone “reali” (ma qui Pirandello avrebbe parecchio da ridire) siano, alla fin fine, solo personaggi di romanzi. Ovvero di intrecci e storie, a volte drammatiche, altre comiche. Più spesso tragicomiche. Perché sovente, se non sempre, il vivere è commedia e farsa. Che però, ineluttabilmente, si chiude in tragedia.
Nella vita quotidiana mi è capitato più volte di incontrare Emma Bovary, o una sua, più o meno cattiva, imitazione. Ed anche Anna Karenina, senza per fortuna il finale tragico del capolavoro di Tolstoj. Ed ho conosciuto tanti Monsù Travet
Forse anche un Yanez de Gomera, che è, però, merce rara.
Ho visto incarnato Emilio Brentani, e forse un po’ in lui mi sono riconosciuto. E, sempre più spesso, purtroppo, ho incontrato il protagonista de “Il male oscuro”. Dimenticato capolavoro di Berto.
Però, piu scorrono gli anni, più sono costretto a riconoscere che Moravia, appena ventenne, aveva visto bene. E lontano.
Leo Musmeci, Maria Grazia e i suoi figli sembrano essere diventati una sorta di paradigma. Di quello che è diventata, nel tempo, la famiglia borghese. Ipocrisia, perbenismo di facciata. Corruzione morale. E, quel che è peggio, indifferenza. Indifferenza verso il dolore, le vere passioni, l’amore. Persino il sesso. E indifferenza sociale in genere. Moravia ha colto in modo acuto, e amaro, ciò che stavamo diventando.
Indifferenti. A tutto, se non alle nostre, infime, pulsioni egoistiche.. Certo, guardandomi intorno, oggi, dovrei, forse, pensare ad un romanzo distopico. E le citazioni di Orwell, Huxley ed altri, da due anni si sprecano. Più o meno inopportune. Ma se devo essere sincero, tutto ciò che vedo mi fa più pensare agli “Indifferenti”. Alla banalità, alla finzione, che ci ha preparato ad accettare tutto. A subire, in fondo, tutto. Un atteggiamento morale che resterà. Anche quando di questa tragicommedia si sarà perso il ricordo.
Perché è questa la vera radice del male…
La realtà romanzesca di Beltrame era rappresentata da eventi reali incredibili. Che sembravano creazione artistica. La nostra, invece, è piatta, monotona. In fondo il secondo novecento è, dal punto di vista letterario, l’età dell’anti-romanzo. Il romanzo dove nulla avviene. Tutto resta immutato. E la noia finisce con lo stordire ogni coscienza.